Attualità

Il fatto. Sicilia, scontro sull’acqua pubblica

Alessandra Turrisi martedì 11 agosto 2015
​La battaglia sull’acqua si è consumata nella terra in cui gli arabi oltre mille anni fa si sbizzarrirono in canali sotterranei e giardini rigogliosi. In quella stessa terra che per decenni è stata condannata alla siccità, vittima di una crisi idrica generata da strutture idriche mai completate, invasi non collegati ai centri abitati, condutture colabrodo. Poi una decina d’anni fa l’avvio di un sistema di gestione misto, con l’ingresso di società private nella distribuzione dell’"oro trasparente" con contratti molto vantaggiosi, il sostanziale fallimento degli Ambiti territoriali ottimali, ma il rifiuto di numerosi sindaci siciliani di cedere le reti ai privati, rivendicando tariffe inferiori e servizi migliori.In questa realtà variegata e sfilacciata, dove ben 175 agglomerati urbani non sono a norma in materia di sistemi fognali e depurativi previsti dall’Ue, è piombato prima delle ferie d’agosto un disegno di legge molto atteso sulla "Disciplina in materia di risorse idriche", meglio noto come legge sull’acqua pubblica. Ieri a tarda sera l’approvazione dell’articolato all’Assemblea regionale siciliana: una riforma che tende a far tornare la gestione dell’acqua nelle mani pubbliche. Ma le trattative e gli scontri consumati dentro e fuori i palazzi del potere porteranno con sé conseguenze sull’unità delle varie compagini politiche.Il primo duello si è consumato nei giorni scorsi all’interno del Pd e dello stesso governo regionale. L’assessore competente, l’ex magistrato renziano Vania Contrafatto, ha minacciato di incostituzionalità una legge che prevedesse nella gestione dell’acqua solo il ruolo delle società pubbliche, mentre il presidente della Regione, Rosario Crocetta, ha ribadito di voler puntare solo sulla gestione pubblica, perché «la linea del governo è quella del programma consegnato ai cittadini il 29 settembre del 2012. Indietro non si torna». Una posizione dura di Crocetta, consapevole di poter contare sul sostegno dei grillini e di spaccature in tutti i partiti. Ma alla fine indietro si è parzialmente tornati. Un emendamento-mediazione tra Crocetta e il Pd ha superato lo scoglio principale della riforma in discussione in Parlamento regionale, provocando non pochi maldipancia tra i Cinquestelle e centrodestra.In pratica, si va verso un compromesso che prevede la presenza di privati a gestire l’acqua in Sicilia, ma a condizioni che rendono poco appetibile e perfino rischioso questo business che vale tre miliardi di euro. I punti essenziali approvati indirizzano la Sicilia verso una gestione che privilegia in modo evidente le società pubbliche e i Comuni. Infatti, i privati potranno gestire il servizio per 9 anni al massimo (mentre oggi una società come Siciliacque ha in mano le reti extracomunali per ben 40 anni) e la scelta dovrà essere motivata da ragioni di economicità. A rendere difficile la vita ai gestori privati è anche l’obbligo di mantenere le condizioni economiche del servizio "bloccate per tutta la durata dell’affidamento"; vengono previste multe salate in caso di disservizi, da 100-300 milioni di euro per ogni giorno di interruzione della distribuzione dell’acqua fino alla rescissione del contratto se si supereranno i 4 giorni. Le sanzioni andranno a pagate all’Ato, che resteranno nove, malgrado le proteste dell’opposizione che volevano mettere un freno al numero di enti travolti da buchi finanziari. Nel testo del ddl prevista anche una razione quotidiana di 50 litri, che non può mancare a ogni cittadino né può essere sospesa per motivi economici. Tariffe scontate del 50% laddove l’acqua non può essere usata per fini potabili, né per cucinare.Con gli occhi puntati su Palazzo dei Normanni sono rimaste le associazioni e le reti civiche che, soprattutto nelle zone storicamente colpite da crisi idriche, sono molto attive. Tra coloro che hanno invocato uno scatto di orgoglio della politica finora "sorda, indifferente e apatica davanti a una realtà di indigenza" è don Marco Damanti, parroco a Menfi, nella diocesi di Agrigento, che ricorda in una lettera inviata ad Avvenire come «con il referendum il popolo italiano ha votato il suo sì per la gestione dell’acqua pubblica». «Vogliamo che i nostri parlamentari, facciano quello che noi, popolo italiano-siciliano, nella campagna referendaria abbiamo detto, senza ambiguità. Ci chiediamo come mai non si tenga conto dell’esperienza di molte metropoli europee, come Parigi e Berlino – dice il sacerdote – che dopo una decennale sconsiderata gestione privata hanno scelto la gestione pubblica. In Sicilia si tenta di fare il contrario, non tenendo conto neppure dell’esperienza della provincia di Agrigento, dove nei Comuni a gestione privata sono stati riscontrati notevoli disservizi, inefficienze e bollette elevate». Anche sul settimanale della diocesi agrigentina "L’Amico del popolo", il tema della gestione dell’acqua è stato sviscerato. «Alla fine la carenza più grande che presenta questa legge – si legge sulla rivista diocesana – è che non viene completamente sancito il principio di solidarietà».