L'Italia alla prova della siccità, mai così poveri d'acqua
Una desolante immagine del fiume Po il 23 marzo 2022
La siccità non è un concetto astratto, ma un effetto concreto che viviamo ogni giorno. Per chi abita nel Settentrione si avverte nella secchezza delle mani, del contorno occhi, delle labbra, si respira aria più arsa e più inquinata a causa dell’assenza di pioggia. Per chi vive nel Centro-Sud addirittura si presenta con il razionamento dell’acqua potabile. Per tutti noi italiani, gli effetti di uno tra gli inverni più secchi degli ultimi 65 anni sono la crescita del costo di frutta e verdura al mercato, gli alberi spogli lungo le strade di città, i terreni inariditi nelle campagne e la difficoltà crescente dell’approvvigionamento energetico. In questo caso, non a causa della guerra in Ucraina, ma per la penuria idrica che coinvolge fiumi e laghi, dato che il 16% dell’energia nazionale arriva da fonti idroelettriche.
I dati parlano chiaro: da dicembre a fine febbraio l’Italia ha ricevuto il 60% di neve e l’80% di pioggia in meno rispetto alla media stagionale. Già a gennaio l’Arpa aveva comunicato che i millimetri di pioggia rilevati erano stati solo 4,8 mentre nello stesso periodo in passato se ne stimavano in media 46: dieci volte tanto. All’assenza di precipitazioni si associa un fine inverno straordinariamente caldo: una media stagionale di 1.7° C in più rispetto al trentennio 1981-2010. Le temperature anomale hanno interessato soprattutto il Nord (+2.3°C) e in particolare il Nord-Ovest (+2.6°C): il caldo anomalo ha colpito particolarmente il Piemonte e la pianura veneta.
Siccità vuol dire meno acqua. Anche per arterie fluviali come il Po (e i suoi affluenti), nel cui bacino si produce il 40% del Pil nazionale e che contribuisce all’approvvigionamento idrico di 16 milioni di persone. L’8 marzo scorso il Grande Fiume ha registrato i livelli delle portate più bassi degli ultimi trent’anni. La situazione preoccupa perché questa è la prima volta che la sofferenza d’acqua inizia a fine inverno, quando terreni e falde acquifere si riforniscono in vista dell’estate. Non solo il Po: in Italia si assiste a un impoverimento idrico dei nostri fiumi principali come l’Adige, l’Arno e il Tevere.
Per chi pensa che il meteo planetario sia ciclico, e se piove meno prima o poi ci sarà una compensazione dal cielo, vale la pena ricordare che le alte temperature e la riduzione delle precipitazioni che alimentano la siccità attuale non sono casuali: l’Italia è uno dei Paesi più sensibili alle variazioni climatiche indotte dalla posizione nel Mediterraneo, un hotspot a livello mondiale. Un’espressione riferita alle regioni planetarie che si stanno riscaldando più rapidamente di altre (come il Sahel).
Allargando lo sguardo, non siamo soli: la siccità cresce a causa del riscaldamento globale e interessa tutta la Terra. Secondo il Wwf, si stima che circa 4 miliardi di persone vivano già una grave carenza d’acqua per almeno un mese l’anno e che la popolazione globale esposta a siccità estrema dovrebbe aumentare dal 3% all’8% nel 21° secolo. Esseri umani in difficoltà assoluta, che spesso diventeranno profughi climatici: solo a causa dei cambiamenti idrologici, dovrebbero crescere di quasi 7 volte a partire dal 2050. Molti di loro migreranno dall’Africa verso l’Europa meridionale, che soffrirà lo stress idrico. In caso di un aumento della temperatura globale di 1,5°C e 2°C la scarsità d’acqua nell’Europa del Sud riguarderebbe, rispettivamente, il 18% e il 54% della popolazione.
È chiaro quindi che si tratta di un problema globale che ha bisogno di piani transnazionali, ma a livello locale la risposta alla siccità è molto semplice: tutelare l’acqua e usarla in modo più efficiente. Soprattutto in Italia. A livello individuale ognuno di noi ne consuma di più di tutti gli altri cittadini europei: circa 220 litri al giorno. La sprechiamo anche nella distribuzione: tra acquedotti malmessi e reti fatiscenti, ogni cento litri immessi nella rete di distribuzione 42 non arrivano ai rubinetti delle case. Secondo l’Istat, recuperando queste perdite si potrebbe garantire il fabbisogno di acqua a circa 44 milioni di persone in un anno.
Bisogna poi ripensare le coltivazioni e i metodi di allevamento. Lungo lo Stivale il settore agricolo assorbe il 60% dell’intera domanda di acqua del Paese. Coldiretti ha denunciato che la siccità è diventata la calamità più rilevante per le coltivazioni italiane, stimando danni intorno al miliardo di euro all’anno.
Al di là dei dati economici, la siccità sostiene la proliferazione di specie invasive come cornacchie e cinghiali.
«Il regime fluviale di molti corsi d’acqua è ormai mutato e ne subiscono le conseguenze i delicati habitat ripariali – spiega Andrea Agapito Ludovici, responsabile acque di Wwf Italia –. Perdiamo molte specie sensibili a vantaggio di specie aliene invasive (es. il gambero rosso della Louisiana diffuso nelle nostre acque interne). Tra i gruppi faunistici più vulnerabili ci sono gli anfibi che risentono gravemente di anomali abbassamenti delle acque, soprattutto nei periodi riproduttivi. Specie come la Rana di Lataste della pianura padano veneta, che generalmente attacca i gruppi di uova a rami o canne: basta un dislivello di pochi centimetri per perderle completamente. Ovviamente i cambiamenti climatici hanno un impatto enorme anche sul mondo vegetale mettendo a rischio circa il 40% delle specie di piante esistenti sulla terraferma».
La sofferenza del bacino del Po incide su oltre un terzo della produzione agricola nazionale: frutta, verdura, pomodoro da salsa e grano. E sono a rischio le coltivazioni seminate in autunno come frumento, orzo e loietto. Guardando al futuro, nel Sud potrebbero pian piano sparire piante iconiche come la vite e l’ulivo, sostituite da kiwi e orzo. Nel Settentrione scompariranno i meleti e si apriranno spazi di coltivazione inediti dove c’era ghiaccio o neve: c’è chi scommette che i vitigni del Chianti tra trent’anni saranno spostati in Friuli o in Lombardia.
Cosa fare allora? In generale, secondo Agapito Ludovici, «ci vuole una chiara pianificazione, che risponda innanzitutto a una corretta applicazione della Direttiva Acque (2000/60/CE) garantendo una visione a livello di bacino idrografico, anche attraverso la definizione chiara del bilancio idrico». A cominciare dalle reti di trasporto dell’acqua: a marzo scorso il Governo ha annunciato un investimento di 1,38 miliardi di euro (900 milioni tramite Pnrr) e intanto questa è sicuramente una buona notizia.
I 100 giorni senza pioggia del Po
È superiore ai 100 millimetri, pari al 92%, il deficit di pioggia sull’intero distretto del Po, che ha raggiunto i livelli più bassi nel periodo dal 1972. Tutte le stazioni di registrazione sono al di sotto della soglia di emergenza. La siccità è al momento più accentutata nella parte occidentale, ma si sta espandendo verso il Delta. Rispetto a una settimana fa il livello dell’acqua è calato del 5%. Le previsioni a medio termine non annunciano piogge omogenee fino a metà aprile.
È allarmante la situazione al Nord e in particolare per quanto riguarda il suo maggior fiume: il Po. Sono 100 giorni che non piove e la situazione si fa sempre più critica. Sia i grandi laghi, sia gli invasi artificiali languono pesantemente e i possibili quanto necessari rilasci dal Lago Maggiore a beneficio delle aree sottostanti non saranno attuabili in modo proporzionale al fabbisogno agroambientale.