La voce dall’inferno del Sinai arriva flebile, ma chiara. Don Mosè Zerai, il sacerdote eritreo che dal 23 novembre scorso ha denunciato il sequestro di un gruppo di 80 eritrei provenienti dalla Libia e diretto in Israele, ha appena chiamato gli ostaggi cui i rapitori, i beduini Rashaida, hanno lasciato il cellulare per sollecitare il pagamento del riscatto di ottomila dollari. L’orrore e la crudeltà si mescolano a due buone notizie. Altre 15 persone riscattate verranno liberate oggi. E i primi quattro ostaggi rilasciati due settimane fa sono stati rintracciati in Israele dall’ong nordamericana Phr in un centro di detenzione. Mentre la conversazione tra il prete e un giovane ostaggio si svolge in tigrino, registrata da Tv2000 e da RadioInBlu, sullo sfondo si sentono rumori di bastonate e lamenti. Donne e uomini sono trattati da mesi come bestie dai moderni mercanti di schiavi. Otto sono stati uccisi solo in questo gruppo la cui sorte è stata intercettata. Torture e abusi sono pratica quotidiana e non solo per sollecitare il pagamento del riscatto. I predoni si accaniscono contro gli eritrei per vendicare un tentativo di ribellione sedato nel sangue e costato la vita a un carceriere. E per l’antico odio dei nomadi islamici dell’Africa del nordest verso i tigrini, stanziali e cristiani.«All’altro capo – spiega don Mosè, visibilmente provato quando si conclude la concitata conversazione – c’era un ragazzo. Li stavano picchiando mentre parlavamo, mi implorava di sbrigarsi a pagare il riscatto. Sanno che altrimenti vanno incontro alla morte». Il resoconto dell’ostaggio conferma la presenza nel lager di tre donne incinte, una vicina al parto. «Anche per questo – aggiunge il prete – continuano a ripetermi di fare presto. Rischia di più chi non ha parenti che inviano soldi. Vengono picchiati per obbligarli a trovare il denaro o accettare l’espianto dei reni come forma di pagamento. Temo li vendano ad altri gruppi». La conversazione riprende. Al cellulare altre persone raccontano, con il terribile sottofondo delle bastonate, di essere rinchiusi dentro un container, mani e piedi incatenati. Stanno vegliando pietosamente un compagno malridotto, da giorni in lotta per sopravvivere.«Sono rimasti in 60 circa – traduce don Zerai – i sequestratori hanno separato chi può pagare da chi non ha i mezzi. Oggi liberano altre 15 persone i cui parenti hanno versato la somma richiesta». Ma l’odissea non termina con la scarcerazione. Scortati da aguzzini ben armati, in marcia scalzi e malconci verso il confine, i profughi rischiano di venire arrestati dalla polizia egiziana, la quale prima di Natale ha catturato 27 ostaggi – in maggioranza eritrei, poi etiopi e sudanesi – e li ha riconsegnati alle ambasciate dei paesi di provenienza. La consegna alle sedi diplomatiche– palese violazione della convenzione Onu sui rifugiati ratificata dal Cairo nel 1981 – suona come una condanna a morte per chi, in fuga dalle persecuzioni, è migrato illegalmente. Nonostante l’imbarazzante silenzio sulla vicenda, il governo egiziano almeno un passo avanti l’ha compiuto vietando alle guardie di frontiera di sparare sui profughi diretti al confine. In Israele, intanto, l’ong di medici Phr ha trovato in due centri per migranti quattro ostaggi del gruppo proveniente dalla Libia, scarcerati due settimane fa. Uno di loro, Haile, è stato nelle mani dei Rashaida del Sinai del Nord 60 giorni. Aveva pagato ai beduini libici 2000 dollari, ma l’hanno venduto. «Eravamo in cinque – è la sua testimonianza – i predoni ci hanno chiesto 5000 dollari. Ho pagato, sono stato l’unico. Non so dove si trovi la mia prigione né che fine hanno fatto le 40 persone rinchiuse con me nel container».Don Zerai lancia l’ultimo appello del 2010 all’Unione europea, all’Italia e ai paesi della regione del Sinai per salvare i profughi eritrei in ostaggio e stroncare il traffico. «La comunità internazionale deve prendere in mano la situazione. Si faccia fronte comune tra Egitto, Israele e Autorità palestinesi, non è possibile che continuino questi traffici. L’Ue dichiari al Cairo che può accogliere gli ostaggi, ha già dato segnali di disponibilità. Chi può, intervenga subito».