POLITICA E GIUSTIZIA. Cosentino, no della Camera alla richiesta di arresto
*** AGGIORNAMENTO DEL 30 SETTEMBRE 2020 L'ex sottosegretario Nicola Cosentino assolto in appello nel processo "Il Principe e la scheda ballerina" per uso di capitali illeciti nella costruzione di un centro commerciale a Casal di Principe. LEGGI QUI
Nicola Cosentino resta libero. La Camera non dà il consenso all’arresto chiesto dai magistrati di Napoli. Un "no" tanto inaspettato fino a qualche ora prima, quanto pesante, decretato da 309 voti contro 298 (18 i deputati che non partecipano, di cui 8 del Pdl, 2 del Pd, 2 della Lega, uno dell’Udc), con l’apporto determinante del Carroccio e dei radicali. Ma soprattutto un risultato carico di significati nell’attuale insolito scenario politico. Dietro le quinte, a tessere la tela, Silvio Berlusconi.C’è dunque molto nell’esultanza di metà dell’Assemblea attorno al deputato del Pdl accusato di collusione con la camorra. C’è il ragionamento che a caldo propone il leader udc Pier Ferdinando Casini e che il Pd condivide: «Evidentemente esiste ancora l’asse Pdl-Lega». C’è una frattura nei <+corsivo>lumbard<+tondo>, con Maroni in netta minoranza. C’è il partito di Angelino Alfano, che rischiava di entrare in crisi e che invece si rafforza. C’è il Pd che verifica sui tabulati il voto decisivo dei sei radicali, eletti nelle sue liste. E c’è un silenzio surreale fuori dell’Aula, in un Transatlantico attraversato alla spicciolata dai parlamentari pd e del Terzo polo, tra rabbia, stupore, preoccupazione e sconforto.«Questa pagina comunque non ha certo rafforzato l’immagine del Parlamento», anche perché, quando «un ex ministro dell’Interno come Roberto Maroni, paladino della legalità, dice che non c’è fumus persecutionis, il voto contrario si commenta da solo», spiega Casini, più prodigo di ragionamenti degli altri leader.Il capogruppo del Pdl Fabrizio Cicchitto intuisce le ansie degli ex avversari e affonda: «Questo voto ha dimostrato che la situazione politica è assai complessa, che la sinistra e i suoi alleati politici e tecnici non possono pensare di dettar legge e che se il governo vuole durare deve mantenersi sul terreno tecnico-politico e tenere sempre una posizione equilibrata fra i partiti che lo sostengono e nei rapporti con le varie forze sociali e le loro rappresentanze, che non sono solo i sindacati e la Confindustria». Se qualcuno ha ancora dubbi, la lettura del Pdl è tutta qui, secondo Cicchitto: «Il significato del voto su Cosentino è che la maggioranza della Camera ha deciso di rispondere al tentativo di metterla puramente sotto schiaffo a opera di settori della magistratura e dei mezzi di comunicazione».La strategia dell’ex premier, dunque, fa centro. Berlusconi, seduto in Aula, si compiace del risultato con Alfano e Cicchitto, ma non si unisce agli abbracci al suo deputato, verso il quale accorre per primo Alfonso Papa, uscito dal carcere e rientrato a pieno servizio in Parlamento. Una festa che gli sconfitti del voto stigmatizzano. Il Cavaliere, però, parla di «un voto di giustizia. Ero convinto che questa sarebbe stata la decisione del Parlamento, che non poteva rinunciare alla tutela di se stesso. È una decisione giusta, in linea con la Costituzione». Una scelta che consentirà a Cosentino di affrontare il processo «da uomo libero». Quanto allo "zampino" nel voto, Berlusconi si tira indietro: «Non è che io ho convinto Bossi, è che le cose erano di per sé convincenti».Alfano, dunque, tira un sospiro di sollievo. Pd e Terzo polo, al contrario, cercano di ritrovare il bandolo della matassa. «Hanno prevalso calcoli politici – secondo il capogruppo del Pd Dario Franceschini –. Ora sono curioso di vedere come i combattenti padani giustificheranno il fatto che ancora una volta hanno calato le braghe di fronte ai diktat di Berlusconi, tornando a casa al primo fischio del vecchio padrone. Noi non abbiamo avuto franchi tiratori». Ma il Pd ha anche da sbrogliare il «nodino dei radicali», come lo definisce la presidente democratica Rosy Bindi, a fronte del «nodo della Lega». Già, perché conferma Franceschini, «purtroppo dobbiamo constatare che il voto dei radicali, motivato politicamente, è stato determinante. È un’altra ferita». I conti sono presto fatti: se i sei pannelliani avessero votato come il resto del gruppo di cui fanno parte, i sì sarebbero stati 304 e i no 303. «Abbiamo assistito non ad un atto parlamentare ma a un mercato delle vacche, con tutto il rispetto per le vacche», chiosa allora il leader dell’Idv Antonio Di Pietro.