La sentenza. «Servizi sociali, no alle discriminazioni»
La Corte costituzionale interviene nuovamente su una norma regionale che discrimina gli immigrati nell’accesso ai servizi sociali. E dichiara illegittima e in contrasto «con i principi di eguaglianza e ragionevolezza » dell’articolo 3 della Costituzione, la legge della Regione Liguria del 2004 che per ottenere una casa pubblica prevede la residenza da almeno 5 anni nel Comune dove si trova l’abitazione. Con la sentenza 77 depositata ieri, i giudici accolgono così il ricorso del Tribunale di Genova, nel procedimento tra un cittadino straniero, titolare di un permesso di soggiorno per protezione internazionale e il Comune di Genova.
L’immigrato, riconosciuto rifugiato politico nel 2019 e residente a Genova dallo stesso anno, aveva presentato domanda per l’assegnazione di un alloggio di edilizia residenziale pubblica, a seguito del bando del Comune per il 2020. Il bando prevedeva fra i requisiti la residenza o attività lavorativa da almeno 5 anni nel bacino di utenza in cui rientra il Comune e così il rifugiato era stato escluso. Per questo aveva proposto azione civile perché il requisito, pur non facendo «distinzione tra stranieri e cittadini italiani», creerebbe una discriminazione «indiretta» a danno dei primi, in quanto una rilevante percentuale dei soggetti richiedenti un alloggio popolare sarebbe formata da stranieri «recentemente immigrati» che inoltre, a causa della loro «situazione precaria» si sposterebbero frequentemente all’interno del territorio italiano.
A sostegno della questione, il rifugiato richiamava la sentenza della Consulta n. 44 del 2020 che ha dichiarato incostituzionale una norma della Regione Lombardia simile a quella ligure. I giudici, citando questo precedente, ribadiscono che «i criteri adottati dal legislatore per la selezione dei beneficiari dei servizi sociali devono presentare un collegamento con la funzione del servizio». Poiché la ratio del servizio di edilizia residenziale pubblica è il soddisfacimento del bisogno abitativo, la Corte afferma che «la condizione di previa residenza protratta dei suoi destinatari non presenta con esso alcuna ragionevole connessione ». E «si risolve così semplicemente in una soglia rigida che porta a negare l’accesso all’Erp a prescindere da qualsiasi valutazione attinente alla situazione di bisogno o di disagio del richiedente (quali ad esempio condizioni economiche, presenza di disabili o di anziani nel nucleo familiare, numero dei figli)», e ciò «è incompatibile con il concetto stesso di servizio sociale».
Per la Corte è dunque «irragionevole che anche i soggetti più bisognosi siano esclusi a priori dall’assegnazione degli alloggi solo perché non offrirebbero sufficienti garanzie di stabilità». Inoltre tali norme «implicano il rischio di privare certi soggetti dell’accesso alle prestazioni pubbliche solo per il fatto di aver esercitato il proprio diritto di circolazione». La Consulta ricorda altre proprie pronunce che «hanno dichiarato l’illegittimità costituzionale di norme che davano rilievo alla durata della residenza ai fini dell’accesso a benefici sociali». La legge ligure rispetto a quella lombarda è anche peggiore perché «allarga la platea di coloro che sono esclusi» e «penalizza anche soggetti già residenti in regione e non solo quelli provenienti da altre regioni o dall’estero». Dunque ha ragione il Tribunale di Genova a lamentare «una discriminazione indiretta a danno degli stranieri» e «un’irragionevole disparità di trattamento » ponendosi «in contrasto» con la Costituzione.