Attualità

La Campania dice no. Sepe: «Non arrendersi mai Camorra, male senza confini»

sabato 21 marzo 2009
Un signore anziano, viso da contadino, sale la scalinata che porta all’altare del Duo­mo. Tra le mani callose porta, stringendo­la delicatamente, una stola viola. La stola di don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucci­so dalla camorra quindici anni fa. Lui è Gennaro Diana, il papà. Si avvicina al cardinale Crescenzio Sepe, gli porge la stola e il cardinale, togliendo la sua, la indossa. Un lungo, forte, commosso ap­plauso sale, invade, riempie la grande chiesa. «Gra­zie eminenza – dice don Tonino Palmese, respon­sabile di Libera per la Campania – per aver volu­to mettere sulle sue spalle il ricordo, la memoria, la vita di don Peppe Diana». Un altro applauso per­corre il Duomo mentre il cardinale fa accomoda­re Gennaro, sorridente, al suo fianco, tra i sacer­doti che stanno partecipando alla veglia di pre­ghiera in occasione della «Giornata della memo­ria e dell’impegno» in ricordo delle vittime di tut­te le mafie che oggi attraverserà la città. È il mo­mento più commovente di una veglia che ha toc­cato soprattutto i temi della sparanza e dell’im­pegno. «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò», recita una delle letture scelte dal Vangelo di Matteo. Una scelta non ca­suale. Metà della chiesa è occupata da più di 500 familiari delle vittime delle mafie. Si prega. «Si­gnore, Dio dell’universo, perdonaci per quelle vol­te in cui gli atteggiamenti di indifferenza hanno da­to alle mafie la forza necessaria per imporre ter­rore, disperazione e morte». Al momento dello scambio del segno della pace salgono all’altare quattro familiari: Lorenzo Clemente, Stefania Gras­so, Viviana Matrangola, e la mamma di Gelsomi­na Verde. Poi, proprio sul tema, si prega ancora. «Dio della pace, non ti può comprendere chi se­mina discordia, non ti può accogliere chi ama la violenza; dona a chi edifica la pace di perseverare nel suo proposito e a chi la ostacola di essere sa­nato dall’odio che lo tormenta, perché tutti si ri­trovino in te, che sei la vera pace». Poi si alza il canto. «Tu sei la mia vita, altro io non ho. Tu sei la mia strada, la mia verità. Nella tua pa­rola io camminerò, finché avrò respiro, fino a quando tu vorrai. Non avrò paura, sai, se tu sei con me: io ti prego, resta con me». Parole che ricorda­no tanto la vita di don Peppe. E del parroco ucci­so dalla camorra parla il cardinale di Napoli. «Quin­dici anni fa fu ucciso dalla barbarie criminosa, ma oggi è più vivo che mai. La sua testimonanza con­tinua a scuotere le coscienze, a dare coraggio a chi vuole combattere la battaglia del buono e del bel­lo ». Parole chiare, quelle del cardinale. «Fare me­moria – dice rivolgendosi proprio ai familiari del­le vittime – è innanzitutto un dovere di ricono­scenza verso chi ha seminato col proprio sangue una testimonianza che non ci può essere rubata da nessuno. Loro hanno testimoniato e ci hanno passato una fiaccola perché continui a illumina­re la nostra vita». Parole di speranza. «Sembra che il male non ab­bia confini ma noi non ci arrendiamo perché Dio è con noi, perché Cristo ha vinto il male, perché noi agiamo con la forza dei nostri ideali, perché sia­mo pronti a offrire la nostra vita perché il bene prevalga». Invece, aggiunge con toni che evocano il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento, «i mafiosi devono nascondersi, non ritrovano un momento di pace perché il male li avvinghia. La loro è una vita di peccato. Semina­no sangue e vivono nel sangue». Dunque non bi­sogna arrendersi, torna a ripetere Sepe, «noi sare­mo i vincitori». Lo ringrazia don Luigi Ciotti e an­che lui invita alla speranza. «Napoli è una città for­te e amara, coraggiosa e non saranno alcuni grup­pi criminali a togliere quella speranza che questa terra invoca. Ma dobbiamo tutti fare di più, tutti insieme». Sepe riprende il microfono. «Napoli ap­plaudi don Luigi. Noi ti accogliamo, ti abbraccia­mo e ti ringraziamo per tutto quello che fai e che farai».