Un signore anziano, viso da contadino, sale la scalinata che porta all’altare del Duomo. Tra le mani callose porta, stringendola delicatamente, una stola viola. La stola di don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucciso dalla camorra quindici anni fa. Lui è Gennaro Diana, il papà. Si avvicina al cardinale Crescenzio Sepe, gli porge la stola e il cardinale, togliendo la sua, la indossa. Un lungo, forte, commosso applauso sale, invade, riempie la grande chiesa. «Grazie eminenza – dice don Tonino Palmese, responsabile di Libera per la Campania – per aver voluto mettere sulle sue spalle il ricordo, la memoria, la vita di don Peppe Diana». Un altro applauso percorre il Duomo mentre il cardinale fa accomodare Gennaro, sorridente, al suo fianco, tra i sacerdoti che stanno partecipando alla veglia di preghiera in occasione della «Giornata della memoria e dell’impegno» in ricordo delle vittime di tutte le mafie che oggi attraverserà la città. È il momento più commovente di una veglia che ha toccato soprattutto i temi della sparanza e dell’impegno. «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò», recita una delle letture scelte dal Vangelo di Matteo. Una scelta non casuale. Metà della chiesa è occupata da più di 500 familiari delle vittime delle mafie. Si prega. «Signore, Dio dell’universo, perdonaci per quelle volte in cui gli atteggiamenti di indifferenza hanno dato alle mafie la forza necessaria per imporre terrore, disperazione e morte». Al momento dello scambio del segno della pace salgono all’altare quattro familiari: Lorenzo Clemente, Stefania Grasso, Viviana Matrangola, e la mamma di Gelsomina Verde. Poi, proprio sul tema, si prega ancora. «Dio della pace, non ti può comprendere chi semina discordia, non ti può accogliere chi ama la violenza; dona a chi edifica la pace di perseverare nel suo proposito e a chi la ostacola di essere sanato dall’odio che lo tormenta, perché tutti si ritrovino in te, che sei la vera pace». Poi si alza il canto. «Tu sei la mia vita, altro io non ho. Tu sei la mia strada, la mia verità. Nella tua parola io camminerò, finché avrò respiro, fino a quando tu vorrai. Non avrò paura, sai, se tu sei con me: io ti prego, resta con me». Parole che ricordano tanto la vita di don Peppe. E del parroco ucciso dalla camorra parla il cardinale di Napoli. «Quindici anni fa fu ucciso dalla barbarie criminosa, ma oggi è più vivo che mai. La sua testimonanza continua a scuotere le coscienze, a dare coraggio a chi vuole combattere la battaglia del buono e del bello ». Parole chiare, quelle del cardinale. «Fare memoria – dice rivolgendosi proprio ai familiari delle vittime – è innanzitutto un dovere di riconoscenza verso chi ha seminato col proprio sangue una testimonianza che non ci può essere rubata da nessuno. Loro hanno testimoniato e ci hanno passato una fiaccola perché continui a illuminare la nostra vita». Parole di speranza. «Sembra che il male non abbia confini ma noi non ci arrendiamo perché Dio è con noi, perché Cristo ha vinto il male, perché noi agiamo con la forza dei nostri ideali, perché siamo pronti a offrire la nostra vita perché il bene prevalga». Invece, aggiunge con toni che evocano il grido di Giovanni Paolo II nella Valle dei Templi di Agrigento, «i mafiosi devono nascondersi, non ritrovano un momento di pace perché il male li avvinghia. La loro è una vita di peccato. Seminano sangue e vivono nel sangue». Dunque non bisogna arrendersi, torna a ripetere Sepe, «noi saremo i vincitori». Lo ringrazia don Luigi Ciotti e anche lui invita alla speranza. «Napoli è una città forte e amara, coraggiosa e non saranno alcuni gruppi criminali a togliere quella speranza che questa terra invoca. Ma dobbiamo tutti fare di più, tutti insieme». Sepe riprende il microfono. «Napoli applaudi don Luigi. Noi ti accogliamo, ti abbracciamo e ti ringraziamo per tutto quello che fai e che farai».