Sale sull’aereo per Londra e sente ancora l’eco del caos scoppiato al Senato all’arrivo del testo sulla riforma, portato dal ministro Maria Elena Boschi. Forza Italia, Ncd, lo stesso Pd: gli insoddisfatti si moltiplicano e si sommano alle opposizioni ufficialmente contrarie ad abolire la seconda Camera elettiva. I numeri sembrano dare ragione al presidente Grasso, per il quale Matteo Renzi non ce la farà a portare a casa il Senato delle autonomie. Ma il premier non muta l’atteggiamento di sfida. Piuttosto continua a difendersi attaccando: «La questione non è se si va o no a elezioni. Sono convinto che le riforme siano l’unica soluzione, perché se la classe politica non accetta di farle è finita».Il punto, insomma, non è l’aut aut tra riforme e elezioni. Il discorso è più ampio. Certo, però, ripete ancora il capo del governo, «se pensano di avermi messo qui per fare la bella statuina, e poi loro continuano con le solite riforme a metà, hanno sbagliato persona. Io ci sto se si cambia. Se non si cambia che prendano un altro». Il segretario del Pd, comunque, non ha alcuna intenzione di subire il brusco altolà con cui è stata accolta Boschi a Palazzo Madama. Già la premessa del presidente Grasso era stata un campanello d’allarme. «Il fatto vero – lo liquida ancora il presidente del Consiglio – è che Grasso ha detto una cosa che io non condivido. Grasso vuole mantenere i senatori elettivi e con l’ indennità».Resta però l’ondata contraria che ha accolto la riforma. Renzi si sente ancora ottimista su Forza Italia: «L’accordo regge», dice prima di volare a Londra. «Io credo che alla fine in sede di voto saranno affidabili sia Forza Italia che il Partito democratico, che tutti gli altri partiti». o almeno, «a livello teorico è così. Io sono obbligato a crederci. Poi ci credo talmente tanto che mi sto giocando tutto, qui si sta benissimo per carità, è un palazzo meraviglioso, però non ce lo ha ordinato il dottore».Insomma, Renzi lascia dietro di sé un Pd diviso, un Ncd perplesso e soprattutto gli azzurri del Cavaliere che sbraitano contro l’abolizione della Camera alta. Ma per i fedelissimi del premier siamo in campagna elettorale e Brunetta che spara contro la riforma non fa paura. L’idea che convince il vertice democratico e i fedelissimi di Palazzo Chigi è che ormai Berlusconi voglia un nuovo incontro, in vista delle europee, che servirebbe a legittimarlo ancora come interlocutore. Ma sulla sua affidabilità, Renzi non teme, perché anche il leader di Fi si gioca la credibilità e l’intesa siglata al Nazareno sull’Italicum comprendeva anche il pacchetto del Senato e del Titolo V. La conferma arriva dal presidente della Commissione affari costituzionali, l’azzurro Paolo Sisto: «Un nuovo incontro tra Silvio Berlusconi e Matteo Renzi sarebbe utile e auspicabile; sono convinto che, se Forza Italia e Pd riusciranno a dialogare come è accaduto nei mesi scorsi, se verrà riproposto il "metodo Italicum", riusciremo a portare avanti il percorso delle riforme».E non preoccupano Palazzo Chigi neppure le fibrillazioni dei democratici, che di giorno in giorno si fanno più insofferenti al metodo renziano, con il quale alla fine di ogni discussione tutto si appiana sulla linea del segretario. Di fatto, però, nessuno intende mettersi contro. Dunque, i malumori sono destinati a rientrare.E allora la riforma va. Il ministro la presenta in Commissione, dove ancora una volta apre al Parlamento per le modifiche: «Io conto anche sulla collaborazione, il confronto e il dibattito, per poter migliorare il testo laddove è possibile ma mantenendo fede alla sua impostazione». In sintesi, fatti salvi i 4 paletti imprescindibili, la disponibilità a rivedere anche le competenze del nuovo Senato su temi maggiormente delicati ci sta. «La scelta di presentare un testo da parte del governo è legittima», insiste Boschi. «Non sono preoccupata perché credo davvero che i senatori e i deputati che hanno fatto campagna elettorale promettendo ai cittadini di ridurre il numero dei parlamentari, di tagliare i costi della politica, di superare il bicameralismo, adesso non possono tornare indietro». Ma se si parte, i tempi non possono essere procrastinati ancora. «Il governo ha sollecitato anche oggi i gruppi parlamentari a rispettare questo impegno». Perché le riforme siano approvate entro il 25 maggio, per le elezioni europee. Data per la quale si pensa alla prima lettura del ddl costituzionale.