Povertà. Senza più lavoro e senza tutele. Ecco chi si arruola dai caporali
Sono tanti i nuovi poveri che si rivolgono alla Caritas di Caserta per ricevere assistenza
David, 27 anni e Alì, 65, hanno perso il lavoro, licenziati dai “padroni” durante la pandemia. Perché i primi a pagare sono proprio gli immigrati. Giovani e anziani, anche se sei bravo, come David, o lavori in quell’azienda da 15 anni, come Alì. Lavoratori in nero e licenziati senza alcun diritto. Ce lo raccontano nel Centro Fernandes della Caritas a Castel Volturno, la “piccola Africa” casertana, dove si possono toccare con mano le gravissime conseguenze della pandemia sulla comunità di immigrati, in termini di lavoro e di diritti. «Alle rotonde se prima erano in 20 in attesa di essere arruolati dai “caporali” ora sono in 60 – ci racconta Gianluca Castaldi, responsabile dell’Ufficio immigrazione della Caritas di Caserta e del Progetto Sipla –. Molti hanno anche perso il permesso di soggiorno a causa del decreto sicurezza. Così i datori di lavoro hanno abbassato la paga, ricattandoli. Se prima erano 35 euro al giorno ora si arriva a 20. Gli immigrati hanno meno potere contrattuale e così sono i primi a perdere il lavoro». Si sentono persi, capiscono che è un’ingiustizia.
«Ho dovuto accettare ma mi sono venduto come una prostituta» dice uno di loro piangendo, sentendo la grave ferita al suo orgoglio. Uno dei tanti che si rivolgono allo sportello della Caritas al Centro Fernandes. Prima della pandemia ogni mercoledì ne venivano 200. Ora, per motivi di sicurezza, si può venire solo su appuntamento, ma ne arrivano 20-30 tutti i martedì e giovedì. Alle solite richieste si sono aggiunte le informazioni per l’accesso ai sostegni economici, sono aumentate le questioni coi datori di lavoro, e ora ci sono le richieste per i vaccini (vedi articolo sotto).
Ma c’è anche chi viene solo per ringraziare perché gli operatori hanno risolto il suo problema. Tra gli immigrati che attendono, tutti con la mascherina e rispettando le regole, incontriamo David e Alì, ma le storie di vita senza diritti sono davvero tante. E il Covid le ha accentuate e aggravate. David è molto giovane ma ha già vissuto tanti drammi. Viene dal Gambia, partito in gommone dalla Libia. «Ricordo tutto. Era il 4 dicembre 2016, ed eravamo in 130. Dopo 13 ore di viaggio ci siamo persi. Alcuni sono caduti in acqua e 15 sono morti. Avevo tanta paura. Ma è arrivata una piccola barca da dove ci hanno buttato i salvagenti. Poi una più grande che ci ha presi a bordo». Era la Aquarius di Sos Mediterranée. Poi lo sbarco a Lampedusa e il viaggio fino a Caserta. Dal 2018 lavora in un magazzino di abiti e scarpe usate, dove si fanno grandi balle da mandare in Africa. Fa il mulettista, in nero, ovviamente. A giugno chiede una settimana per poter andare a trovare il fratello a Parma. «Il padrone mi ha detto “se vai non lavori più”. Ma io ho sempre lavorato, non ho mai avuto problemi con lui». In realtà, come ci spiega Castaldi, dietro ci sarebbe altro. David, grazie al progetto Sipla, due mesi fa ha seguito un corso da mulettista prendendo il patentino. «La settimana era una scusa, in realtà col patentino avrebbe dovuto metterlo in regola ».
Sono tanti i nuovi poveri che si rivolgono alla Caritas di Caserta per ricevere assistenza - .
E così lo ha licenziato. Anche se, dice David, «ora c’è molta più richiesta di abiti usati ». Ora, aggiunge con orgoglio, «cerco lavoro perché senza lavoro non si può stare. Ho portato tanti curriculum ma mi chiedono la patente. Io ho solo quella del mio Paese che in Italia non vale». Così ora la Caritas lo aiuterà a prenderla. Intanto lui dà una mano, come aiutante mediatore. Ma ha un altro problema. È richiedente asilo, a dicembre 2019 la commissione ha respinto la sua domanda, la prossima ci sarà a dicembre. Due anni di incertezza, grazie a una burocrazia lentissima. Lunghissima e non meno drammatica la storia di Alì, 65 anni della Guinea, in Italia da 30 anni, dopo essere stato a Malta e poi in Bulgaria. In patria ha lasciato la moglie, ora morta, e cinque figli. «Non li vedo da 20 anni, solo telefonate ».
Da 15 anni lavora in un’impresa di barche, senza contratto o con contratto irregolare. A marzo 2020, con l’arrivo del Covid e il lockdown, l’imprenditore lo manda a casa. «Mi ha solo detto “tu non vieni più”. E da allora non mi ha più chiamato». Così si è rivolto alla Caritas. Ha una borsa nera dalla quale tira fuori i suoi documenti, decine di fogli, la sua difficile vita. Tutti conservati con ordine, perché sa quanto siano importanti. L’avvocato della Caritas ascolta la sua storia, fa copia dei documenti, per vedere come aiutarlo almeno a recuperare i contributi mai avuti e se ci sono le condizioni per denunciare l’imprenditore. Oltretutto dopo tutti questi decenni è ancora un richiedente asilo, perché due volte la commissione di Napoli ha respinto la sua domanda. Ora a 65 anni, l’età della pensione, è rimasto senza nulla. «Vivo grazie alla Caritas, mi danno loro da mangiare. Ma cerco un lavoro, uno qualunque », dice con grande dignità. «Ma chi assume uno della sua età? Neanche un italiano ce la farebbe», commenta amaramente Gianluca.