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La storia. Una vita "senza": casa, lavoro, affetti. Nardev, ucciso per noia

Antonio Maria Mira lunedì 18 novembre 2024

Un senza dimora per le strade di Roma

Trattato come un barattolo o un segnale stradale, su cui sparare per provare una pistola appena comprata. Così è morto il 31 maggio alla periferia di Bari Nardev Singh, 38 anni, indiano senza dimora. Ad ucciderlo tre ragazzi, due dei quali minorenni. Li hanno arrestati qualche giorno giorni fa, grazie alle riprese delle videocamere e alla testimonianza del parente di uno di loro.

“Ridevano raccontando quello che avevano fatto”. Davvero una vicenda “sconvolgente”, “agghiacciante”, “uccidere per passatempo e noia”, la descrive il procuratore aggiunto di Bari, Ciro Angelillis.

I ragazzi con quella pistola pagata 250 euro volevano “fare un casino”, una vendetta tra clan baresi. E per essere sicuri del risultato hanno voluto provare l’arma. Prima sparando su un bidone dei rifiuti, poi su un uomo, per uccidere. “Cercavano un bersaglio umano e lo hanno trovato tra le persone più indifese”, sono le parole del capo della squadra mobile di Bari, Filippo Portoghese. Due colpi, ditti al petto.

Non lo conoscevano, ma sapevano che in quel rudere vivevano alcune persone. E hanno pensato che erano il bersaglio perfetto. Hanno urlato, Nardev è uscito, due colpi e la sua vita è finita. Una vita “senza”. In Italia dal 2006, senza documenti, lavorava senza contratto, prima in una pescheria e da poco in una frutteria, per questo senza casa, senza diritti. Mai problemi con la giustizia, una persona tranquilla. Viveva in quella struttura abbandonata, l’ex clinica “Opera Pia”, con alcuni connazionali e una coppia di italiani.

Perché i “senza” non sono solo immigrati ma anche tanti nostri concittadini. Tutti uguali, tutti scarti, li guardiamo con sospetto, storcendo il naso o tappandolo, perché sono sporchi e “puzzano”. Col carico di buste piene della loro vita, uomini e donne chiocciola che la casa se la portano dietro. Danno fastidio e li dimentichiamo. Furono gli ultimi a essere vaccinati contro il Covid, malgrado la loro fragilità, e multati perché durante il lockdow erano per strada e non in una casa che, però, per gran parte di loro è la strada. Fantasmi che disturbano. Non li vogliamo, non vogliamo vederli, non vogliamo sentirli. Vadano altrove, come sta accadendo a Roma alla stazione Termini in vista del Giubileo. Perché “rovinano” l’accoglienza a pellegrini e turisti.

Solo che ogni “altrove” non li vuole. E alla fine li troviamo davanti all’unica porta aperta, quella dell’ostello della Caritas. Senza “altrove”, se non quelli più bui e freddi. Ma qualcosa ancora ce l’hanno, ed è la vita, unica, irripetibile come la nostra. Quella che i tre ragazzi non hanno riconosciuto, cercando solo un bersaglio. Ma prima di Nardev tanti altri senza dimora sono morti dimenticati, anche sui nostri marciapiedi. Di freddo, di malattie non curate, picchiati da qualche banda di violenti, o anche di solitudine. Anche in morte restano “senza”. Senza una preghiera, un fiore, una lacrima. Ma non sempre è così.

Lo scorso 15 ottobre il funerale di Carlos “il poeta”, brasiliano di 62 anni, è stato celebrato da due cardinali, Konrad Krajewski, elemosiniere di papa Francesco e Leonardo Ulrich Steiner, arcivescovo metropolita di Manaus. José Carlos de Sousa, questo il suo nome, dormiva da più di cinque anni “appoggiato al muro” del colonnato di San Pietro. Aveva solo uno zaino. All’interno la cosa più preziosa, un quaderno dove scriveva poesie. Me lo ha raccontato suor Elaine Lombardi, stretta collaboratrice di Krajewski, che ha conosciuto bene Carlos. “Io volevo fare sempre qualcosina in più per lui. Sai, era brasiliano come me… Però mi diceva: “Sorella, non ho bisogno di niente. Lo dia agli altri, mi porti quaderni”. Era un poeta, un cuore buono, uno sguardo profondo, silenzioso. Era un osservatore”. Lo aveva scritto anche in una delle sue poesie. “Per strada e in ogni altro luogo non parlo quasi mai, mi limito a guardare, ascoltare, pensare e a volte scrivere per non essere solo al mondo”.

Ma anche lui non era “senza” un ruolo. Come ci dice padre Konrad. “Forse, quando stava sotto il colonnato, è stato giudicato dai fedeli, dai pellegrini, dai turisti. Non si presentava benissimo ma Gesù ci dice che questo non è tutto per l’uomo, il tutto è il cuore e nel colonnato era come un angelo che indicava la via ai fedeli che si recavano in Basilica”. E ricorda i tanti come Carlos e come Nardev. “Quando arriverà il nostro momento di incontrare Gesù ci aiuteranno magari ad aprire un po’ la porta del Paradiso”. Non più “senza”, proprio come ha voluto suor Elaine al funerale. “Sono riuscita a fare la fotocopia del suo documento per mettere la sua foto sulla bara. Non era giusto che fosse senza una sua foto”.