Attualità

RAPPORTO. Povertà «alimentare» per 3 milioni di italiani

Paolo Ferrario mercoledì 7 ottobre 2009
Sulla tavola delle famiglie povere si trovano soprattutto pane, pa­sta e latte. Qualche volta un po' di carne, formaggio e uova, quasi mai il pesce. Del resto, con un budget mensile di 222,29 euro a disposizio­ne, il carrello al supermercato è qua­si sempre più vuoto che pieno. Que­sta “soglia di povertà alimentare”, che varia da regione a regione ed è realtà quotidiana per il 4,4% delle famiglie residenti in Italia ( pari a 1 milione e 50mila nuclei e a circa 3 milioni di persone) è stata presa a riferimento dalla ricerca sulla povertà alimenta­re nel nostro Paese, realizzata dalla Fondazione per la Sussidiarietà in collaborazione con docenti dell'Uni­versità cattolica e dell'Università Bi­cocca di Milano. Per la prima volta, a partire da un campione di famiglie povere selezionato tra il milione e mezzo di indigenti assistiti dagli oltre 8mila enti che fanno capo al Banco a­limentare, si è cercato di leggere un fenomeno che riguarda soprattutto le famiglie del Sud e quelle che vivo­no ai margini delle grandi città. Il primo dato che viene evidenziato e che ha dato il titolo alla ricerca (“Po­veri perchè soli”) è appunto la solitu­dine, analizzata da un duplice punto di vista. Come spiega il professor Lui­gi Campiglio, pro- rettore dell'Uni­versità Cattolica, che ha curato la ri­cerca insieme al sociologo dello stes­so ateneo Giancarlo Rovati, c'è infat­ti la solitudine delle or­ganizzazioni sociali che si occupano di povertà e quella delle stesse fami­glie indigenti. « Le orga­nizzazioni – aggiunge Campiglio – lamentano uno scarso, se non nul­lo coordinamento sul territorio, che ne limita fortemente la capacità di essere soggetti pro­positivi. La famiglia, che è sempre più ridotta e quindi meno forte, si trova a sua volta in difficoltà quando deve svolgere un ruolo di supplenza, che le viene richiesto da una società incapace di far fronte alle necessità dei suoi componenti più deboli » . Per il 59% delle persone intervistate, la caduta in povertà è provocata dal­la perdita del lavoro, anche se avere un'occupazione non è più automati- camente garanzia di sicurezza per il futuro. Il 34,7% del campione dichia­ra infatti di avere un posto stabile ( 21,8%) oppure di essere occupato saltuariamente ( 12,9%). E questo va­le ancora di più per gli stranieri: il 34,5% degli immigrati poveri ha in­fatti un'occupazione stabile e il 13,8% ha un lavoro saltuario. « Non basta avere un lavoro, ma è anche ne­cessario avere una re­tribuzione dignitosa » , chiosa Campiglio che, a questo riguardo, ri­corda come sia ancora molto forte il divario tra il Nord e il Sud del Paese, dove le famiglie sotto la soglia di po­vertà alimentare sono più numerose. E la differenza, con le famiglie non povere, si vede nel piat­to. Se la soglia minima sotto la quale scatta la povertà alimentare è, per u­na famiglia di due persone, 222,29 eu­ro di spesa media al mese, le famiglie del campione spendono ancora me­no: 154,70 euro al mese, contro i 523,81 euro dei nuclei non alimen­tarmente povere. Per la pasta, per e­sempio, i poveri spendono 28,85 eu­ro al mese contro i 62,86 euro dei be­nestanti, mentre per la carne il diva­rio è ancora maggiore: 35,05 euro contro 99,88 euro. I poveri non pran­zano quasi mai fuori casa: in un me­se spendono appena 6,53 euro per il “ristorante” contro gli 80,02 euro dei nuclei non indigenti. « Le famiglie a basso reddito – ri­prende il professor Campiglio – spendono almeno il 70% delle pro­prie entrate mensili per gli alimen­ti e per pagare l'affitto della casa. Per il resto, rimane davvero molto poco, come abbiamo potuto verifi­care con questo lavoro » . Così, alla domanda su che cosa ac­quisterebbe se avesse la disponibi­lità di mille euro al mese, il 40,6% del campione ha risposto metten­do allo stesso livello le “cure medi­che”, in particolare quelle relative alla salute dentale e gli “alimentari di qualità”. Il 58,4% ha invece ri­sposto “altro”, che, come specifica Campiglio, significa soprattutto “scarpe e vestiti”. Tutto quanto ser­ve, insomma, per condurre una vi­ta dignitosa. Una condizione che, troppo spesso, alle famiglie povere è negata.