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Venezia. Ergastolo a Turetta per l'omicidio di Giulia. Il padre: abbiamo perso tutti

Elisa Campisi martedì 3 dicembre 2024

Filippo Turetta, in aula durante il processo

Filippo Turetta è stato condannato all'ergastolo per l'omicidio di Giulia Cecchettin. La Corte d'Assise di Venezia ha escluso le aggravanti della crudeltà e dello stalking contestate dalla procura, mentre ha riconosciuto quella della premeditazione. «La mia sensazione è che abbiamo perso tutti come società. Non sono né più sollevato né più triste rispetto a ieri o domani. È una sensazione strana, pensavo di rimanere impassibile», ha detto ai giornalisti il padre di Giulia, Gino, subito dopo la sentenza. «È stata fatta giustizia - ha aggiunto - la rispetto, ma dovremmo fare di più come esseri umani. La violenza di genere va combattuta con la prevenzione, con concetti forse un po' troppo lontani. Come essere umano mi sento sconfitto». In aula c'era anche Filippo Turetta, che non ha rilasciato dichiarazioni.

È l’ultimo capitolo di una vicenda iniziata il 12 novembre 2023, quando Gino Cecchettin, padre di Giulia, denuncia la scomparsa della figlia che non rincasa dopo essere uscita la sera prima con l’ex fidanzato. Pochi giorni dopo la giovane avrebbe dovuto discutere la tesi di laurea in ingegneria: elemento tra i tanti che fin da subito fanno escludere l’allontanamento volontario.

Il corpo della ragazza viene trovato quasi una settimana dopo, il 18 novembre, nascosto da sacchi neri lungo la strada che collega Piancavallo a Barcis, in provincia di Pordenone. Poche ore dopo il 21enne, che si scoprirà essere il suo assassino, viene fermato da una pattuglia tedesca sull'autostrada A9 a Duerremberg, in fuga verso Monaco. La sua Grande Punto si era fermata. Turetta, già oggetto di mandato di arresto europeo, confessa agli agenti di avere ucciso la ragazza: versione confermata anche dopo il trasferimento nel carcere di Montorio, a Verona, davanti al pm Andrea Petroni. L’ex fidanzato non accettava la fine della relazione.

Il femminicidio di Cecchettin è stato uno spartiacque. Ha colpito l’opinione pubblica come mai prima d’ora scatenando numerose manifestazioni e una riflessione collettiva non solo sulla violenza di genere, ma anche sull’educazione dei maschi. Come scrisse in quei giorni la sorella di Giulia, Elena, gli assassini di donne come Turetta non sono mostri, ma «figli sani del patriarcato, della cultura dello stupro» che andrebbe superata attraverso l’impegno, in primis, degli stessi uomini. Una provocazione che ha dato il via a un primo timido percorso di autocoscienza tra alcuni uomini, soprattutto nei social network e nei media. A un anno dalla morte della giovane, la famiglia ha infine lanciato la Fondazione Cecchettin, che si impegnerà nel contrasto e nella prevenzione della violenza di genere.