Via libera dal Senato al ddl sulle
riforme costituzionali con uno 'score' finora mai raggiunto,
vale a dire 180 sì, ma con la maggioranza di governo che non
avrebbe raggiunto il tetto minimo di voti senza l'aiuto di 22
senatori di Ala, Fare! e di Fi. Matteo Renzi, ha ringraziato i
senatori che hanno raggiunto "un obiettivo che molti ritenevano
impossibile", vale a dire l'autoriforma del Senato. Il premier
ha ribadito la sua volontà di dimettersi in caso di sconfitta al
referendum costituzionale di ottobre, in vista del quale sono
nati due nuovi Comitati "per il no", uno promosso da Fi, Lega e
Fdi e un altro da alcuni senatori centristi.
Il voto dell'Assemblea di Palazzo Madama è il primo della
seconda lettura conforme prevista dall'articolo 138 della Carta
per le riforme costituzionali, cui seguirà quello definitivo
della Camera ad aprile. Occorreva la maggioranza assoluta che in
Senato è di 161 voti (315 senatori eletti e 6 a vita). I sì sono
stati ben 180 (contro i 178 della precedente votazione, il 13
ottobre), Ma la maggioranza assoluta è stata superata con il
contributo di 17 senatori di Ala, il gruppo di Denis Verdini, le
3 senatrici di Fare!, il movimento di Flavio Tosi, e di due
senatori di Fi, Bernabò Bocca e Riccardo Villari, che già in
precedenza si erano espressi in questo modo. Ala, con Lucio
Barani, ha rivendicato di essere "determinante", mentre i
bersaniani, con Miguel Gotor, hanno affermato che questi
risultati "aprono la strada a una stagione di trasformismo e
annunciano una lunga e profonda palude in cui il Pd non può e
non deve smarrire la propria identità riformista".
Renzi ha solennizzato questo passaggio intervenendo in Senato
al termine della discussione generale. Un discorso dai toni
alti, assai diverso da quello con cui il 28 febbraio del 2014
chiese la fiducia per il suo governo, con le mani in tasca e
augurandosi che il suo fosse l'ultimo governo a chiedere la
fiducia in Senato. Oggi il premier ha ringraziato i senatori per
essersi "autoriformati", facendo "riguadagnare alla politica la
fiducia dei cittadini". E dopo aver ricordato i passi avanti
dell'Italia negli ultimi due anni, non ha attribuito al solo
governo il merito: "grazie al vostro impegno le cose stanno
cambiando".
Ma alla fine del suo discorso Renzi ha ribadito
"ufficialmente" la propria intenzione "di porre fine alla
propria esperienza politica" nel caso di vittoria del "no" al
referendum costituzionale di ottobre. E agli applausi ironici
dei senatori di M5s e Lega, Renzi ha prontamente risposto: "sarà
affascinante vedere le stesse facce gaudenti di adesso, quando,
il giorno dopo il referendum sulla riforma, avremo dimostrato da
che parte sta l'Italia". Curiosa una citazione del libro di
Giulio Tremonti ("Uscita di sicurezza") presente in aula: "noi
considerati dilettanti abbiamo costruito un Arca di Noè, i
professionisti il Titanic".
Ma che il referendum non sarà un pranzo di gala lo si è
capito oggi allorché, in una sala di Palazzo Madama, si sono
susseguite le conferenze stampa di tre "comitati per il no", di
cui due nuovi di zecca, dopo il primo dei costituzionalisti "di
sinistra" (Alessandro pace, Gustavo Zagrebelski, Stefano Rodotà)
partito i giorni scorsi. Proprio per differenziarsi da esso Fi
ne ha promosso uno guidato da due ex presidenti della Consulta,
Annibale Marini e Alfonso Quaranta. Ed anche tre senatori di
area centrista, Mario Mauro, Carlo Giovanardi e Luigi Compagna
ne hanno varato uno tutto loro, indirizzato soprattutto al mondo
ex Dc e moderato.