Attualità

IL CASO. Sei persone per un figlio: è il puzzle inglese

Assuntina Morresi sabato 10 agosto 2013
Nel Regno Unito la maternità surrogata è regolata dal «Surro­gacy Arrangements Act» del 1985, più volte rivisto e corre­dato da regolamenti attuativi, man mano che sono cambia­te le leggi sulla fecondazione in vitro e su matrimoni e u­nioni civili. Il risultato è una normativa molto complicata, come av­vertono anche governo e Hfea (l’Autority inglese sulla fe­condazione assistita). È co­munque possibile individua­re alcuni punti basilari.
Il pri­mo è che la donna che parto­risce è sempre la madre lega­le del bambino, anche quan­do ha usato un ovocita non suo e quindi non esiste alcun legame genetico fra lei e il neonato, che ha il diritto di te- nere con sé e di non conse­gnare a chi glielo ha commis­sionato. La legge inglese non impone il rispetto dell’accor­do fra la madre surrogata e la coppia committente: lo Stato non può obbligare all’adem­pimento del contratto, non può cioè obbligare la puerpe­ra a rinunciare al bambino, anche se lei prima aveva ac­consentito e poi ha cambiato idea, anche se il patto con gli aspiranti genitori è già stato formalizzato e le spese sono già state sostenute. In buona sostanza la legge inglese rico­nosce che la maternità è in­separabile dalla gravidanza; che fra donna e bambino che cresce nel suo corpo c’è un le­game così forte e unico che prevale sempre se la madre ri­vendica per sé il figlio che ha portato in pancia, a prescin­dere da ogni contratto. Una donna non può che par­torire il proprio figlio: sta a lei, in circostanze particolari, ce­dere i propri diritti legali sul bambino a un’altra coppia.
Questa è la ratio della legge britannica che, quindi, vuole escludere qualsiasi forma di commercializzazione e non prevede ricompense per la donna che affitta il proprio u­tero, ma solo il pagamento di spese 'ragionevoli' sostenu­te: un aggettivo che consente di pagare in modo surrettizio ma profumatamente le ma­dri surrogate. Che il legislato­re inglese riconosca l’ecce­zionalità del legame fra una donna e il bambino che ha partorito, e allo stesso tempo ammetta che si possa rinun­ciare a questo figlio per puro altruismo, è – a essere buoni – un eccellente esercizio di fantasia.
Coloro che commissionano la gravidanza diventano ge­nitori legali attraverso un at­to che riassegna la genitoria­lità, trasferendola dalla cop­pia surrogata agli aspiranti ge­nitori: è il «Parental order», che può essere effettuato non prima di sei settimane dal parto, e comunque entro sei mesi. La coppia committen­te deve essere sposata o sta­bilmente convivente (indi­pendentemente dal fatto che la convivenza sia una civil partnership o no), almeno u­no dei due deve avere un le­game genetico con il neona­to e deve essere domiciliato nel Regno Unito. Singoli indi­vidui sono esclusi. Se invece la coppia che ha commissiona­to la gestazione ha usato sia o­vociti che liquido seminale di estranei deve procedere con l’adozione. La normativa si complica poi quando prevede che il part­ner della madre surrogata – marito, convivente ricono­sciuto o no – sia il padre lega­le del bambino, purché con­senziente.
Considerando che dall’aprile 2010 l’accesso alla surroga è anche a coppie o­mosessuali, e che anche una donna sola può essere una madre surrogata, si apre una vasta gamma di scenari di cui si può avere una pallida idea consultando i siti istituziona­li dedicati, che ipotizzano so­luzioni per casi particolar­mente – diciamo così – arti­colati. Riassumendo: ricorrere all’u­tero in affitto in Gran Breta­gna potrebbe coinvolgere fino a sette persone: due donato­ri di gameti, diversi dalla cop­pia (omo o eterosessuale) che commissiona la gravidanza, e poi la madre surrogata e il suo partner (omo o etero). E naturalmente, infine, il bam­bino. Nei prossimi mesi sono pre­visti ulteriori aggiornamenti alle norme, in considerazio­ne soprattutto della varietà delle possibili combinazioni di tutti gli attori. E poiché la legge dice di voler evitare ogni commercializzazione – inclu­sa la pubblicità – i contatti fra chi cerca e chi offre una sur­roga si creano mediante or­ganizzazioni non profit. Una delle più importanti è Surro­gacy United Kingdom: ha co­me motto «Maternità surro­gata per amicizia», le cui ini­ziali sono «Suk». Il mercato caotico per eccellenza, dove puoi smerciare di tutto.
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