Torture su fragili. Quei poliziotti violenti di Verona, l'accanimento che inquieta
Esterno della questura di Verona, dove sarebbero state compiute violenze contro stranieri o senza dimora
Inutile girarci intorno: l’elemento più inquietante della vicenda di Verona è la tassonomia delle vittime tratteggiata dalla gip Livia Magri. «Soggetti di nazionalità straniera, senza fissa dimora ovvero affetti da gravi dipendenze da alcol o stupefacenti, dunque soggetti particolarmente deboli», scrive la giudice per le indagini preliminari. E la domanda è inevitabile: perché? Perché questo accanimento «in misura pressoché esclusiva» - così ribadisce la gip - su chi non può difendersi e andrebbe piuttosto protetto da diffuse e odiose discriminazioni sociali? E perché giungere a forme di umiliazione da regime totalitario, disgustose, come pretendere che una persona strisci nella propria urina? Azioni che intendono sottomettere la vittima al più antidemocratico e incivile dei messaggi: «Tu vali zero».
Non solo la magistratura e la stessa Polizia, ma anche il governo in carica e il Parlamento nella sua interezza devono assumersi la responsabilità di una risposta chiara, netta, circa la capacità e volontà di estirpare sul nascere anche il più piccolo seme di intolleranza e razzismo dentro le istituzioni preposte alla sicurezza delle persone e della democrazia.
L’indagine della magistratura e l’azione investigativa della squadra mobile di Verona contro i propri “colleghi” rappresentano una prima positiva reazione, a testimonianza che gli “anticorpi” ci sono e funzionano. Ma, sinceramente, non basta. Deve essere la politica a lanciare un messaggio unico e costante sui valori democratici che devono innervare la vita delle istituzioni. E soprattutto senza equivoci, ambiguità e zone grigie. Perché è anche con l’alibi degli equivoci, delle ambiguità e delle zone grigie, costruite nelle narrazioni pubbliche e politiche, che talvolta l’uomo, persino l’uomo in divisa, tradisce se stesso e i valori che dovrebbe incarnare.