Integrazione. Seconde generazioni e cittadinanza: ripartire dai Comuni
Manifestazione per chiedere una nuova legge sulla cittadinanza
Cosa è rimasto della mobilitazione dell’ultimo decennio (e oltre) per una nuova legge sulla cittadinanza? Correva l’anno 2011 quando le Acli lanciavano, insieme ad altre 22 associazioni, con insospettabile successo di firme, la campagna “L’Italia sono anch’io”. Duecentomila sì per aprire il dibattito sulla riforma. Da allora partì un crescendo di partecipazione, anche da parte della società civile, culminata nel biennio 2016-2017 con la campagna che vide protagoniste le seconde generazioni e che trovò anche in Avvenire uno strumento di informazione importante. Il tema aveva un seguito nell’opinione pubblica anche se, dopo l’attentato al “Bataclan” a Parigi, tutto cambiò, complice anche la strumentale campagna mediatica lanciata sui temi dell’immigrazione, che è arrivata fino a oggi. Pesa ancora la percezione sbagliata dell’”invasione dello straniero”, che ha generato paura e a volte disprezzo verso chi proviene dall’estero. Un problema che riguarda le stesse comunità di migranti, non di rado chiuse e divise tra loro.
Ius soli: 72,5% degli italiani è favorevole
Detto questo le cifre non smettono di stupire, come ha certificato sorprendentemente l’ultimo rapporto del Censis: secondo il Centro studi, infatti, il 72,5% degli italiani è favorevole all’introduzione dello Ius Soli, cioè la cittadinanza ai minori nati in Italia da genitori stranieri regolarmente presenti sul nostro territorio. La percentuale sale al 76,8% se si considerano coloro che chiedono lo Ius culturae, che presuppone anche il completamento di un ciclo formativo in Italia. «In questi anni i social ci hanno aiutato ad uscire dall’invisibilità» premette Kwanza Musi Dos Santos, che con la Rete per la riforma della cittadinanza ha lanciato una nuova campagna dal titolo “Dalla parte giusta della storia”. I rappresentanti delle nuove generazioni sono consapevoli che la loro, in questo momento, è una traversata nel deserto, alla ricerca di punti d’approdo non facili da raggiungere tra le istituzioni. «L’unica cosa certa – spiega – è che siamo sempre di più, anche se mancano numeri ufficiali. Non essere italiani impedisce a molti di noi innanzitutto di restituire quel che abbiamo ricevuto, a partire dall’accoglienza all’istruzione. Tanti di noi vorrebbero fare i medici, gli insegnanti, ma spesso la burocrazia ci penalizza».
«Dal Parlamento nessuna volontà»
Di quella fase storico-politica, Kwanza ricorda «una legge mai calendarizzata alla fine, nessuna volontà del Parlamento» e forse per questo oggi l’attenzione delle seconde e terze generazioni si concentra di più sul territorio, sui Comuni e sulle amministrazioni locali. L’esempio è quello dei sindaci che, negli anni scorsi, al compimento dei 18 anni scrivevano ai neo-diciottenni per spiegare «l’opportunità che lei ha di richiedere la cittadinanza», un requisito, spiegavano i primi cittadini, che consente poi la partecipazione ai concorsi pubblici, l’accesso al voto, la libertà di viaggiare. La base, in questo senso, resta il protocollo siglato a suo tempo da Anci, Save the Children e Rete G2.
«Chiediamo un segnale di civiltà»
«L’obiettivo resta quello di facilitare le pratiche per ottenere la cittadinanza e aiutare tante famiglie che rischiano di dividersi tra persone che sono diventate italiane e persone che sono rimaste straniere, nel limbo» spiegano le seconde generazioni. Daniela Ionita è presidente di Italiani senza cittadinanza, «un movimento che si muove dal basso» e che rappresenta persone nate in Italia o arrivate nel nostro Paese molto giovani. «Abbiamo partecipato a diversi lavori interparlamentari, fino all’ultimo tentativo, quello dello Ius Scholae, fallito come gli altri. Attenzione: si sarebbe trattato di un contentino, visto che il provvedimento non era retroattivo. Però avrebbe un dato un segnale di civiltà. A noi e a tutto il Paese». L’impressione è che per questi ragazzi (ed ex ragazzi) la storia da scrivere insieme a tanti coetanei nel nostro Paese sia rimasta soltanto all’inizio.