Odissea umanitaria. Malta autorizza la nave Sea Watch a ripararsi vicino alla costa
(Chris Grodotski / Sea Watch)
La nave Sea Watch 3 si potrà riparare nella notte dalla burrasca, stando sotto costa, nelle acque territoriali maltesi. L’autorizzazione arrivata da La Valletta nel pomeriggio è l’unica nota positiva di una viceda tragica, che giorno dopo giorno assume contorni sempre più surreali: 32 esseri umani, tra cui donne e bambini, si trovano da 12 giorni consecutivi in balia del mare e in “ostaggio” di irresponsabili politiche europee. Dallo scorso 22 dicembre, giorno dell’operazione di salvataggio, alla Sea Watch 3 non sono state fornite indicazioni per l’attracco in un porto sicuro.
In una condizione pressoché analoga ci sono altre 17 persone salvate dall’altra nave di soccorso, la Professor Albrecht Penck della Ong tedesca Sea Eye bloccata in mare dal 29 dicembre. E tutto questo nonostante le due imbarcazioni possano fornire solo la prima assistenza e non siano attrezzate «per ospitare le persone per un periodo così lungo».
Il permesso è stato concesso da Malta dopo che l'equipe medica a bordo della Sea Watch 3 ha informato di un deterioramento delle condizioni di salute dei naufraghi salvati. «A causa della lunga permanenza a bordo con cattive condizioni meteo, molti degli ospiti soffrono di forte mal di mare», hanno spiegato i medici, precisando che «per una persona malnutrita e indebolita, la conseguente disidratazione può mettere a repentaglio la sua condizione».
In particolare i medici hanno espresso preoccupazione per i tre bambini a bordo, di uno, sei e sette anni. Inoltre, «la prolungata condizione di incertezza sta stressando le persone salvate e molte di loro stanno perdendo la loro fiducia nelle nostre operazioni, il che limita le nostre possibilità di fornire un aiuto psicologico e mette quindi in pericolo la sicurezza dell’intera nave».
Ma i rischi sanitari non sono l’unico problema: presto termineranno anche i beni di prima necessità, tra cui acqua potabile e cibo, provocando una situazione ancora più estrema che ha già messo in allarme diverse organizzazioni, tra cui Medici senza frontiere e il Centro Astalli. Con padre Camillo Ripamonti che ha usato parole nette, definendo «ingiustificabile una tale chiusura da parte dei singoli governi europei che si ostinano a non voler portare in salvo poche persone in condizioni di pericolo e grave vulnerabilità». «Un braccio di ferro disumano – ha proseguito il presidente del Centro Astalli – sulla pelle di innocenti in cerca di salvezza non può essere la via per disciplinare e gestire i flussi migratori dall’Africa verso l'Europa. Tanta indifferenza per le sorti dei migranti è da condannare senza attenuanti. Per il diritto del mare la chiusura del porti è consentita solo per gravi motivi di ordine pubblico e sicurezza, mentre il soccorso a chi si trova in mare in condizioni di difficoltà, deve essere sempre e tempestivamente garantito».
Anche l’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha chiesto senso di responsabilità agli Stati europei mentre un simile «appello alle autorità europee ed italiane» lo ha lanciato anche il vice presidente di MSF, Ruggero Giuliani «affinché si trovi al più presto un porto sicuro per questi naufraghi. Facciamo appello alla società civile italiana, affinché alzi la voce su questa situazione inaccettabile e sulla richiesta di politiche più umane che allevino le sofferenze delle persone. Chi fugge ha bisogno di protezione».
E mentre l’hashtag #apriteiporti entra nei temi più discussi su Twitter, sul fronte politico dal deputato del Pd, Matteo Orfini arriva la richiesta al presidente del Consiglio, Giuseppe Conte perché rompa gli indugi e permetta di trarre in salvo i 49 migranti che vagano nel Mare Mediterraneo a bordo delle navi Ong Sea Watch 3 e Sea Eye. Mentre si fanno avanti anche i sindaci di Palermo e Pozzallo: «Nessuno Stato ha mostrato il minimo interesse nei confronti di questa nave e del suo carico di disperazione, ma noi siamo pronti ad accoglierli».
A livello europeo, infine, solo l’Olanda ha dato la sua disponibilità a farsi carico di una parte dei 32 profughi purché altri Paesi Ue facciano lo stesso, ma finora l’Europa e la politica nostrana sembrano sorde e disallineate agli appelli di umanità della società civile.