Migranti. Il volontario Sea Watch: i libici ci hanno ostacolato durante il salvataggio
Gennaro Giudetti, 27 anni, mediatore culturale e volontario nella ong tedesca Sea Watch
«Io come volontario, anzi come cittadino italiano, non posso tacere: alla guardia costiera libica le motovedette e la formazione del personale l’abbiamo pagata noi, con le tasse. Il nostro governo, che pure autorizza i corridoi umanitari, si rende corresponsabile di queste morti con gli accordi con Tripoli». Gennaro Giudetti, 27 anni, volontario italiano sulla nave della ong tedesca Sea-Watch, racconta i drammatici momenti del salvataggio in cui cinque persone sono state recuperate senza vita dalla ong «ma almeno altre 30 erano già annegate». In tutto 105 i migranti sopravvissuti al naufragio, tra i 58 salvati da Sea-Watch e gli altri 47 presi dalla guardia costiera libica e riportate indietro. Il volontario racconta come, nonostante l’incarico formale del Centro di coordinamento di Roma della Guardia costiera italiana, siano stati ostacolati dalla motovedetta libica, che ha lasciato in mare decine di persone.
Invitato alla Camera dal deputato Giuseppe Civati di Possibile, Giudetti ripercorre quelle ore drammatiche. Sul banco poggia i suoi guanti da lavoro: «Mi sono serviti per afferrare tanti migranti. Molti vivi, ma anche tropi corpi senza vita». Poi racconta dall'inizio quel terribile 6 novembre: «Dal Centro di coordinamento della Guardia costiera di Roma ci arriva, all’alba del 6 novembre, la comunicazione: intervenite, a un’ora da voi c’è un gommone carico di migranti a 30 miglia dalla costa libica», cioè oltre il doppio del limite delle acque territoriali.
«Sul posto troviamo anche una nave militare francese e un elicottero della Marina italiana, anche loro ci dicono di fare il salvataggio. I mare è mosso. Vediamo i primi corpi in mare, poi il gommone dei migranti semiaffondato, che è stato legato alla motovedetta, manovra pericolosa e da evitare. I libici non hanno nemmeno dato a tutti i giubbotti di salvataggio, che è sempre la prima cosa da fare per mettere in sicurezza i naufraghi».
Gennaro con gli altri sul gommone entra in azione: «Recupero il corpo di un bambino di due anni, almeno lui avrà una degna sepoltura, sento la madre che dal gommone semiaffondato urla. Vedo tante teste, poi solo mani, qualche bolla e poi nulla. Non lo auguro a nessuno. A furia di ragionare sulle cifre ci siamo anestetizzati e non pensiamo che potrebbero essere i nostri fratelli o i figli». Gennaro Giudetti continua: «Sfioro la mano di una ragazza a sinistra del gommone e mi sfugge. A destra altre tre donne mi afferrano. Devo decidere di salvare loro, lasciando affondare l’altra che mi ha guardato negli occhi. Ma chi sono io per dover prendere queste decisioni?».
La motovedetta libica nel frattempo non collabora, dopo avere tirato sù una cinquantina di persone. Anzi: «Dalla nave ci gridano contro, non hanno messo in mare il loro gommone, non hanno nulla di professionale. Un libico ci tira addosso delle patate, una colpisce in testa l’operatore accanto a me. Alcuni migranti cercano di scalare la motovedetta. Sopra tre uomini, a calci, con un bastone e una corda, colpiscono i migranti per non farli alzare, probabilmente vorrebbero saltare verso di noi perché sanno cosa li aspetta in Libia». Uno ce la fa, ha la moglie sul gommone, ma resta appeso fuori dalla nave. «I libici del tutto incuranti ripartono a tutta velocità. L’elicottero della Marina italiana via radio gli ripete di fermarsi subito». Poi il velivolo compie una manovra estrema, abbassandosi a pochissimi metri dall'acqua, davanti alla motovedetta per indurla fermarsi. Ma i libici fanno "macchine avanti tutta" e partono: «Quell’uomo non l'ho visto più, è scomparso tra le onde».