Migranti. Miliziani libici come pirati ostacolano un soccorso, sparano e se ne vanno
Il motoscafo libico che più ha interferito con i soccorsi, anche sparando. Si noti la mitragliatrice a prua (Foto Zoe Hansen)
Pirati. Così possono essere definiti questi libici, che hanno esploso colpi di arma da fuoco in mare, durante uno soccorso di un gommone in difficoltà. Non si sa chi fossero i miliziani a bordo di due motoscafi che sono intervenuti per ostacolare l'operazione di salvataggio della nave Alan Kurdi. Sono apparsi all'improvviso, hanno mostrato i muscoli, hanno messo a repentaglio le vite dei migranti e anche dei soccorritori e sono ripartiti.
Nelle scorse ore la nave della Ong tedesca Sea Eye aveva iniziato il soccorso di un gommone bianco con a bordo circa 90 persone a Nord-Ovest di Zuwara. Subito dopo che i due Rhib della nave Alan Kurdi avevano finito di distribuire i giubbotti di salvataggio alle persone sul gommone, sono giunte sul luogo del soccorso due piccole imbarcazioni non meglio identificate.
Stando a quanto riportato da Sea Eye, una di queste presentava a prua una mitraglietta, ben visibile nelle foto. E batteva bandiera libica. Non era di certo un'imbarcazione della Guardia costiera. Non aveva contrassegni della marina militare libica, né di altri corpi militari. Quindi si può ragionevolmente pensare a una delle tante milizie attive in Libia.
"Le persone a bordo di queste imbarcazioni hanno ostacolato il soccorso minacciando l'equipaggio e sparando alcuni colpi di arma da fuoco in aria e in acqua - ha fatto sapere l'equipaggio di Sea Eye -. Alcune delle persone presenti sul gommone si sono buttate in acqua in preda al panico. Tutte avevano indossato il giubbotto di salvataggio e sono state successivamente soccorse dai Rhib di Sea-Eye. Dopo diversi momenti di tensione, le piccole imbarcazioni hanno lasciato la zona. L'equipaggio della Alan Kurdi ha quindi completato il soccorso delle persone a bordo del gommone portandole a bordo della nave".
Un atto di pirateria a tutti gli effetti, anche se resta da capire il vero obiettivo dell'azione. Potrebbe essere stata una prova di forza indirizzata anche ad accrescere il prestigio di una milizia sul fronte interno. Oppure un messaggio da parte di trafficanti di uomini. Comunque è un'altra dimostrazione che la Libia non può essere considerato un Paese con porti sicuri. E che potrebbe dimostrarsi anche un pericolo per i nostri pescherecci, considerato che Tripoli ha esteso unilateralmente le proprie acque costiere.
OCEAN VIKING: 7 GIORNI BLOCCATI IN ATTESA DI UN PORTO SICURO DI APPRODO
Più a Nord, nella cosiddetta overlapping zone di competenza dell'Italia e di Malta, è ancora bloccata la nave Ocean Viking, da 7 giorni in attesa di istruzioni per un porto sicuro di approdo, in un mare di dolore e traumi e violenze che ogni giorno straborda dai racconti delle 104 persone soccorse. E in alcuni casi, la disperazione non viene fuori a parole, ma è lì e si sente; si intuisce e si fa di tutto a bordo per accoglierli e alleggerirli come meglio si può sul ponte di una nave di 69 metri. E, allora, via con le partite a carte, a backgammon, le attività di pulizia e i turni per lavarsi, e per le donne anche le acconciature da rifare e lo smalto da mettere sulle unghie. E' questa piccola quotidianità - imposta da 7 giorni - che per alcuni ha riattivato desideri e progettualità, dopo mesi, anni per alcuni, di umiliazioni, violenze e soprusi, in un lager libico qualunque. "Non importa se finisci o meno in una prigione vera e propria - racconta Ali -, in Libia è come se fossi sempre in uno stato di sequestro: ti muovi in un perimetro limitato e la tua vita è sempre in pericolo".
Nessuno degli amici di Dim sa che è partito per raggiungere l'Europa, lo avrebbero scoraggiato a farlo, ma il sogno di completare gli studi in Legge è stato più forte. E poi c'è Fof, prima di ritrovarsi venduto al confine tra Libia e Algeria e torturato nella prigione di Bani Walid, aveva studiato ragioneria. Due anni, poi anche lui come il suo compagno di traversata, ha dovuto abbandonare gli studi perché troppo costosi. In mezzo ai sogni, c'è anche quello più pop di chi vorrebbe frequentare l'accademia di calcio per diventare un calciatore professionista e altri più pragmatici, come quello di elettricista di Ali e quello di Youssuf che ha lavorato sempre come saldatore nel suo Paese di origine e anche in Algeria: "Mi piace moltissimo il mio lavoro e vorrei continuare a farlo: non mi importa dove andrò in Europa, sarei felice se dove andrò avessero bisogno di saldatori come me". Anche se i sogni devono ancora, per un giorno, il settimo, scontrarsi con la dura realtà della politica, e la conseguente incapacità di coordinamento dei soccorsi in mare.
ANCHE OPEN ARMS SOCCORRE 45 PERSONE IN SAR MALTESE
Dopo il soccorso di una barca in avaria a 30 miglia delle coste italiane, ma nella cosidetta zona di Serch and Rescue maltese, la nave di Open Arms dopo solo 24 ore di attesa ha ricevuto il via libera da Malta per il trasbordo delle persone lunedì mattina, evitandosi così di rimanere bloccata a lungo. Come sta accadendo da una settimana per la nave Ocean Viking.
L'allarme di distress era stato inoltrata intorno alle 20 nella notte tra sabato e domenica dagli attivisti di AlarmPhone, il call center gestito dalla Ong WatchMed alle autorità italiane, maltesi e alla nave di Open Arms che da una settimana naviga al limite tra la Sar maltese e quella libica.
Le autorità maltesi non hanno risposto all'allerta lanciata da Alarm Phone alle 20 e nemmeno alle successive telefonate partite dalla nave Open Arms prima di dare il via al soccorso. Mentre l'Mrcc di Roma ha risposto che l'area del soccorso era di competenza maltese.
Soltanto 4 ore dopo quando la barca di legno è stata individuata intorno alla mezzanotte dalla nave di Open Arms, l'Mrcc della Valletta ha dato il via libera per il soccorso. Open Arms è intervenuta ha portato in salvo tutte e 45 le persone: tra loro, come riportato su Twitter dal giornalista a bordo Lorenzo D'agostino, ci sono persone proveniente da Eritrea, Somalia, Bangladesh, Guinea, Sierra Leone, Egitto, Marocco, Algeria, Mali e Libia. Tra loro due donne, di cui una incinta.
Nel frattempo la nave Alan Kurdi è in attesa di ricevere istruzioni per un porto sicuro di approdo. Domenica l'equipaggio della ONG Sea Eye aveva chiesto un'evacuazione medica per una donna incinta a bordo, a cui ha risposto la centrale dei soccorsi di Roma, coordinando e inviando un elisoccorso.