Covid. L’attacco del sindacato al governo: inaccettabile il Green pass nelle mense
Il Green pass continua a dividere. Dopo il turno di ristoranti e palestre, adesso è la volta delle mense aziendali, in seguito alla precisazione sul sito di Palazzo Chigi uscita il 13 agosto in cui il governo ha specificato che la certificazione verde è obbligatoria anche nelle mense dei luoghi di lavoro, equiparandoli di fatto ai locali pubblici in cui si può mangiare al chiuso dal 6 agosto solo esibendo la prova di avvenuta vaccinazione anti-Covid.
Una posizione, quella del governo, che però non piace al fronte sindacale, preoccupato soprattutto delle «iniziative unilaterali» che alcune imprese nazionali e multinazionali stanno prendendo per adeguarsi alle «incerte disposizioni governative recenti». Essendo le mense luogo di lavoro, dicono infatti Fim, Fiom e Uilm, «non accetteremo mai nessuna disparità di trattamento fra luoghi di lavoro e mense». E di conseguenza la messa in discussione dell’accesso alle sale pasto dei lavoratori senza il Green pass.
Perciò, è il passaggio successivo, niente decisioni a senso unico. Anche perché pur condividendo l’obiettivo di completare la campagna vaccinale, i sindacati considerano queste iniziative «in contrasto con lo spirito di confronto e partecipazione» che si è visto con la scrittura di Protocolli nazionali e aziendali.
Ad essere «inaccettabile» infatti, secondo le sigle sindacali, è innanzitutto «la mancanza di chiarezza normativa e la confusione generata dalla comunicazione governativa in assenza di provvedimenti chiari, con il rischio di generare contenziosi, discriminazioni, differenze di trattamento su materie così delicate». Quindi alle «iniziative unilaterali delle imprese», le tute blu di Cgil, Cisl e Uil rispondono «con la contrattazione e con la richiesta di convocare i comitati Covid in ogni azienda, perché non possono essere messi in contrapposizione i diritti ma bisogna trovare soluzioni che riducano al minimo possibile i rischi sui luoghi di lavoro». Ma soprattutto chiedono al governo di «agire subito».
Sulla stessa lunghezza d’onda i sindacati di polizia e delle forze armate, che in una lettera aperta al presidente del Consiglio Mario Draghi e ai ministri dell’Interno, Difesa, Economia e Giustizia hanno espresso «forti perplessità» sull’obbligo di accedere alle mense di servizio con il Green pass. «È notorio – spiegano Siulp, Siap, Fns Cisl, Sinafi e Siamo – che le occasioni di contatto, anche prolungato, non siano riscontrabili soltanto nei locali adibiti a mensa di servizio, ma soprattutto nei luoghi abituali di lavoro, nelle camerate, negli alloggi di servizio e, non da ultimo, nei penitenziari sovraffollati».
Al coro si unisce anche l’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria) che definisce «privo di senso» l’obbligo di Green pass nelle mense e sulla questione ha scritto al capo del Dap e al direttore generale del personale e delle risorse umane parlando di come «la misura risulterebbe del tutto inadeguata e superficiale», oltre al fatto che potrebbe «costituire l’ennesimo fattore destinato a incrementare il disagio lavorativo del personale».
Il tema dell’obbligo vaccinale nei luoghi di lavoro non è di questi giorni e non ha mancato nelle scorse settimane di alimentare polemiche. La discussione è iniziata a fine luglio con Cgil, Cisl e Uil che hanno sempre insistito sul fatto che i Protocolli di sicurezza «vanno rispettati», che serve «una legge» ad hoc, che bisogna «capire chi paga il costo dei tamponi per i lavoratori non vaccinati».
Del resto sul fronte politico i segnali non sembrano essere più incoraggianti: se da un lato alcuni pezzi della maggioranza continuano a svilire il ruolo dello strumento – come Matteo Salvini che in Sicilia ha detto chiaramente che «non si può chiedere il Green pass per andare in pizzeria, in spiaggia e in piscina e poi far sbarcare migliaia di persone da Paesi dove il vaccino non esiste» – dall’altro altri tasselli della stessa maggioranza tipo Italia Viva ne chiedono «un’estensione». Voci che si intrecciano con quelle dei rappresentanti di governo, come il sottosegretario alla Salute Andrea Costa che difende lo strumento del Green pass: è «una garanzia» per permettere di tenere aperti e definisce, secondo la stessa logica, anche «un errore» mantenere chiuse le discoteche.