INTERVISTA AL PRESIDENTE ACLI. Olivero: «Troppo sconforto in giro Serve un progetto politico»
«La crisi sta mordendo sempre di più. E purtroppo crescono anche lo sconforto e la sensazione di essere soli. Per questo oggi serve delineare una nuova possibilità, un progetto che dia speranza». Il presidente delle Acli, Andrea Olivero, parla alla vigilia del congresso nazionale delle Associazioni cristiane lavoratori italiani, che affronterà proprio i temi della recessione e della necessità di rafforzare i legami di coesione del Paese.I dati sull’occupazione segnalano un ulteriore peggioramento, la situazione rischia di avvitarsi.È la conferma che non possiamo parlare solo di spread o di risanamento, per quanto quest’ultimo sia necessario come baluardo per tutti. La realtà è che sempre più giovani non trovano lavoro, si pone ormai una vera questione generazionale e nel frattempo crescono le povertà e le fragilità. Penso anche a questa sorta di individualismo negativo, che conduce alla disperazione e al suicidio imprenditori e disoccupati. Dobbiamo ritrovare la fiducia nel futuro.Avete però diffuso un sondaggio che tratteggia un quadro piuttosto cupo delle sensazioni sulla crisi e gli anni a venire. La preoccupazione è profonda e diffusa. Ma proprio per questo non possiamo fermarci al problema-crisi. Dobbiamo riuscire a imprimere una spinta per costruire un nuovo progetto. Gli italiani soffrono in particolare del vuoto progettuale della politica, che non è stata in grado di delineare un orizzonte diverso da quello dei tagli. Ed è significativo il fatto che la prima necessità indicata dalle persone sondate è la "creazione di nuovi posti di lavoro". Prima ancora della "riduzione delle tasse" o della "crescita dei consumi". Segno che le priorità gli italiani le hanno ben presenti.Intanto, però, la riforma del lavoro sembra ingarbugliarsi. Voi come la giudicate?Mi sembra che alla fine sia solo un piccolo passaggio. Si sono spese molte parole, e davvero tanta ideologia, per arrivare a un risultato piccolo piccolo, che non farà crescere l’occupazione. Al di là di quanto delineato nella riforma ora in Parlamento, infatti, ci sono ancora da mettere in campo tutte le politiche attive per favorire la nascita di nuovi posti di lavoro. In particolare, come riattivare i centri per l’impiego per dare lavoro ai disoccupati, come riformare la formazione professionale. E senza un piano straordinario per l’occupazione giovanile – che noi torneremo a chiedere con forza nel nostro congresso – non si uscirà da questa tremenda impasse.Su cosa punterete il congresso nazionale, quale messaggio vorreste lanciare?Partiamo dall’idea che occorra rigenerare la comunità. Perché senza una nuova percezione dell’essere una comunità non riusciremo ad affrontare insieme la sfida del riformismo che evochiamo. Questo comporta che le organizzazioni sociali facciano ovviamente la loro parte, ma presume necessariamente che il governo e soprattutto la politica tornino a fornirci una visione. A dirci dove si vuole andare, quale speranza si vuole ricostruire. Noi ci assumeremo l’impegno di indicare "un possibile riformismo". Si parla molto di riforme di questi tempi. Ma spesso queste si riducono in realtà a tagli e a ridimensionamenti. Pensiamo invece a un riformismo che ridia "senso" alle cose, che vada sì a riqualificare la spesa pubblica, ma nel contempo disegni il modello di Paese che vogliamo per il futuro. Non soltanto ciò che tagliamo ma cosa intendiamo costruire con questo processo. Possiamo farlo forti di una tradizione riformista cattolica.Ritorna la questione dei cattolici in politica?<+tondo>Da sempre i cattolici hanno avuto un disegno riformista. Basti pensare a figure come De Gasperi, Vanoni per il fisco, Fanfani per la casa. Tanti uomini che si sono fatti carico certo dell’esigenza della crescita ma anche dell’equità e, vorrei dire, della questione degli ultimi. Ecco, un riformismo degli "ultimi", la capacità cioè di coniugare il rigore con la ricaduta sociale che determina. Cosa che abbiamo visto fare solo molto parzialmente da parte di un governo che pure cerca di essere riformista, ma che non ha avuto per ora la capacità di affrontare la sfida con una logica veramente sociale.Però l’attenzione al voto cattolico, o quantomeno al fronte dei "moderati" è già alta...Attenzione, noi siamo certamente moderati per natura. Ma il riformismo cattolico non è "moderatismo". Semmai chiediamo di "osare". Di indicare con chiarezza dove si vuole andare, superando le solite formule ed entrando nel concreto delle questioni, senza lasciare altro spazio all’astensionismo o all’antipolitica.I sindacati protestano, i partiti hanno alzato i toni. Anche voi siete tra i critici? Sta finendo la stagione del governo Monti?Non credo che la stagione del governo tecnico sia finita. Non fosse altro perché questa fase finirà quando la politica avrà dimostrato la capacità di riprendere il suo compito e la propria responsabilità. E purtroppo devo dire che, fino ad oggi, non abbiamo visto dei segnali incoraggianti in questo senso. Per quanto ci rendiamo conto che il governo tecnico sia, e debba essere, un’esperienza a termine, finché la politica non avrà ritrovato il proprio ruolo, meglio un esecutivo competente e attento al rigore.Vi preoccupa la spending review?Il principio è positivo. Per la prima volta non si parla di tagli lineari, ma si guarda dentro le questioni. Certo noi vigileremo, perché non vorremmo che si usasse ancora una volta questa scorciatoia per tagliare il sociale. Non farebbe certo bene al Paese.