Attualità

L'inchiesta. Le mani della mafia sulle scommesse

Nello Scavo giovedì 15 novembre 2018

I reparti dello Scico della Guardia di Finanza ieri durante il blitz in diverse città italiane

Nel gioco d’azzardo sono i numeri a contare. Ma questi non piaceranno ai mafiosi: 68 arresti e il sequestro preventivo su beni e disponibilità per quasi un miliardo di euro. La mole colossale di prove e informazioni (oltre 500mila intercettazioni in tre anni) conferma come il comparto delle scommesse legali sia stato ampiamente infiltrato dai padrini del sud che hanno stretto un patto tra tutte le mafie italiane: da cosa nostra siciliana alla ’ndrangheta in Calabria, fino alla camorra campana e i clan emergenti in Puglia. Mai un unico business aveva messo attorno allo stesso tavolo tutte le consorterie criminali nostrane. Ma la regia, stavolta, era nelle mani degli esponenti pugliesi dei clan mafiosi Parisi e Capriati.

I due gruppi criminali avrebbero costituito una «multinazionale delle scommesse », sostengono gli inquirenti, in grado di movimentare oltre 1 miliardo di euro su conti bancari a Malta, Curacao (il paradiso fiscale olandese nei Caraibi), passando per le Isole Vergini e le Seychelles. Gli investigatori dello Scico della Guardia di finanza hanno accertato il passaggio dei due clan «da un modello tradizionale di mafia militare a quello più evoluto di mafia degli affari » che «ha ora assunto, stabilmente, una sua specifica identità imprenditoriale e cerca i nuovi adepti nelle migliori Università».

L’intero processo di sottrazione del denaro e reinvestimento i attività lecite avveniva all’interno del perimetro dell’azzardo legale. Le agenzie di scommesse controllate direttamente o indirettamente dai sodalizi mafiosi simulavano la trasmissione dei dati per la raccolta “on line” delle puntate, ma in realtà operavano la tradizionale raccolta “da banco” incassando contanti lasciando all’oscuro i Monopoli di Stato. Per schermare i veri proprietari i boss avevano costituito un reticolo di società estere adoperando dei prestanome. Una volta depositati oltreoceano, i capitali venivano gradualmente rimessi nel circuito legale investendo in altre società dell’azzardo.

«Gli ingenti guadagni originati dall’attività organizzata di raccolta delle scommesse – spiega la procura di Catania –, sono stati reintrodotti dalle compagini criminali nel circuito economico legale mediante l’acquisizione di svariate attività commerciali, la maggior parte delle quali operative nel gaming avente la loro sede non solo in Italia ma anche all’estero». Il centro gravitazionale del circuito illecito era rappresentato dalle società riconducibili a marchi noti, come 'Planetwin365', 'Revolutionbet' e 'Bet1128', «per le quali è stata accertata la soggiacenza – insistono gli investigatori – a condotte e modalità operative di stampo mafioso o comunque finalizzate ad agevolare gli interessi delle “famiglie” Santapaola-Ercolano e Cappello, operanti nella provincia di Catania, Tegano operante nella città di Reggio Calabria, Piromalli-Pesce-Bellocco, operanti nella piana di Gioia Tauro, la famiglia Martiradonna facente parte del clan Parisi, operante nella provincia di Bari». I patrimoni sono stati congelati nel Regno Unito, Romania, Serbia, Svizzera, Austria, Malta, Germania, Lussemburgo, Albania, Isole di Man, Antille Olandesi, Isole Vergini Britanniche e Repubblica delle Seychelles. Nella Penisola i provvedimenti sono stati eseguiti in Puglia, Calabria, Sicilia, Lazio, Lombardia, Abruzzo e Toscana. Come precisato dal Tribunale di Reggio Calabria in una nota, “con riferimento alla SKS365 le investigazioni hanno riguardato esclusivamente la proprietà/management che ha gestito la società fino al 2017, ovvero prima della sua cessione ai nuovi proprietari, nei cui confronti non sono emersi elementi di responsabilità”.

Le indagini andavano avanti da tre anni e nel 2016 hanno avuto un punto di svolta quando gli agenti hanno ottenuto la certezza di trovarsi davanti a esponenti della ’ndrangheta nel corso di uno dei controversi viaggi verso il santuario della Madonna di Polsi, nel Reggino, dove i boss si davano ogni anno appuntamento. L’intero «pellegrinaggio » era stato organizzato secondo la classica modalità ’ndranghetista, prevedendo «un passaggio, in segno di rispetto, davanti alle Case Circondariali di Reggio Calabria “San Pietro” e “Arghillà” nonché nei pressi dell’abitazione del boss Roberto Roberto Franco», scrivono i magistrati nell’atto d’accusa. Tutto alla luce del sole, utilizzando per il trasporto dei «pellegrini » un autocarro scoperto, «allestito in modo adeguato alla circostanza (impianto di amplificazione, generatore elettrico, etc..)».

La tradizionale riservatezza mafiosa, però, stavolta è stata soppiantata dall’ossesisone per i social network di alcuni pregiudicati che tra un poker online e un post su Facebook, hanno lasciato parecchie tracce. Emulando i 'rich kids' che ostentano la ricchezza sul web, anche i 'figli di papà' dei capibastone che si arricchiscono con l’azzardo hanno postato le loro immagini a bordo di Ferrari e con Rolex al polso, altre durante «i frequenti soggiorni in suite presso hotel a 5 stelle (tra i quali il “Bellagio” di Las Vegas)», esibendo «la disponibilità di cospicue somme di denaro contante», come dimostrano le foto allegate agli atti investigativi. Questo sì, un azzardo costato caro.