Latina. «Basta violenza e sfruttamento», braccianti sikh in sciopero
Un momento della manifestazione a Latina
"Il mio diritto mettilo qua! Dacci il nostro diritto qua!". È l'urlo in lingua punjabi che si alza da piazza della Libertà di Latina. Sono più di 3mila braccianti indiani sikh che partecipano allo sciopero organizzato contro lo sfruttamento e le violenze. Un'iniziativa che nasce dopo i gravissimi fatti di dieci giorni fa quando a Terracina è stato arrestato un imprenditore agricolo che sparava con un fucile per intimidire i lavoratori indiani che rivendicavano i loro diritti.
Proprio quelli che chiedono urlando in questa piazza che nel nome li evoca, perché non è libero un lavoratore sfruttato. È il secondo sciopero della comunità sikh in tre anni. Il primo ci fu il 18 aprile 2016. L'importante novità è il sostegno di tutti e tre i sindacati del mondo agricolo Fai Cisl, Flai Cgil, Uila Uil. Un forte segnale di solidarietà perché, come spiega Stefano Mantegazza, segretario generale della Uila Uil, "non ci sono lavoratori indiani o italiani, ci sono solo lavoratori che si spaccano la schiena sui campi. E quello che è successo è un atto di delinquenza che colpisce tutta la categoria".
Anche nei colori la piazza è unica, unitaria. Le bandiere dei tre sindacati e i variopinti turbanti dei sikh, mischiati in una corale protesta. "Tutti insieme abbiamo fatto questa battaglia - dice Gurmukh Singh, presidente della Comunità indiana del Lazio -. Ma ora basta! Basta sfruttamento! Non possiamo lavorare come schiavi. Vogliamo diritti e dignità, sicurezza sul lavoro, contratti regolari, permesso di soggiorno in tempi certi. Invece ci sono troppi ritardi". Poi si rivolge ai suoi connazionali. "Non dobbiamo avere paura a denunciare, le Forze dell'ordine sono con noi, lavorano bene per noi". Ma serve di più, come sottolinea Onofrio Rota, segretario generale della Fai Cisl. "Servono dei provvedimenti che tutelino i lavoratori che decidono di denunciare caporali e sfruttatori. Dobbiamo dare loro la forza per sconfiggere la paura". E poi fa un appello al mondo agricolo. "Non ci può essere cibo giusto se non c'è lavoro giusto. E questo è possibile solo se combattiamo ogni tipo di sfruttamento".
E lo ripete anche Davide Fiatti, segretario nazionale della Flai Cgil. "Non è più possibile tollerare lo sfruttamento, sia degli immigrati che degli italiani. Esistono le regole che vanno rispettate. Andiamo avanti. Tutti insieme!". Nella piazza si alza nuovamente l'urlo che chiede i diritti. Riconosciamo Balbir, bracciante che ha avuto il coraggio di denunciare il suo schiavista. Più di un anno fa avevamo raccontato la sua drammatica storia e i suoi problemi, malgrado la denuncia, ad avere un permesso di soggiorno per lavoro. Oggi sorride. "Risolto i problemi Balbir?". "Forse questa volta riuscirò davvero ad avere il permesso di soggiorno. Così potrò andare a casa per abbracciare i miei figli che non vedo da più di sei anni".
E quello del permesso di soggiorno è un problema che ci ripetono molti braccianti. Soprattutto per gli inspiegabili ritardi. "Io ho un contratto di lavoro regolare - ci spiega uno di loro - ma per il permesso di soggiorno sto aspettando da un anno". E senza quel documento si sentono più deboli, e lo sfruttamento è più facile. Ma l'aria sta cambiando. Ne è sicuro Marco Omizzolo, sociologo, consulente scientifico della cooperativa InMigrazione, premiato dal presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per il suo impegno al fianco dei Sikh. "Questa comunità ha cominciato a parlare, abbiamo presentato più di 150 denunce. Ma non possono essere lasciati soli. Servono più controlli nelle campagne. Vogliamo il rispetto dei loro diritti".
È quello che una delegazione dei braccianti, accompagnati dai sindacalisti, va a chiedere al prefetto di Latina, Maria Rosa Trio. Ne escono alcuni impegni: a migliorare il servizio per i permessi di soggiorno, a organizzare meglio il sistema del lavoro fin dalla prossima riunione all'Inps, a lavorare insieme per correggere le storture che ci sono nella provincia, a tutelare maggiormente chi denuncia. Ma soprattutto, sottolinea Omizzolo, "rispetto a tre anni fa abbiamo finalmente sentito parole chiare e di condanna dello sfruttamento".