«Le sentenze vanno eseguite », aveva detto il procuratore generale di Trieste poche ore prima che Eluana morisse. Davanti alla tv, quando i telegiornali hanno annunciato che la sentenza era stata eseguita, c’era anche, a Ravenna, il cardinale Ersilio Tonini. «È stato un dolore, un dolore forte; perché in questi mesi Eluana era diventata figlia anche nostra». Ma accanto al dolore, un’amarezza profonda: per una "giustizia" che ha portato fino a qui. I novantaquattro anni di Tonini non gli impediscono di scandire a memoria una massima giuridica antica, discendente dalla tradizione del diritto romano: «Hominum causa omne ius constitutum est»: tutto il diritto è fatto per l’uomo. E dunque: «La legge, se non è fondata sul bene dell’uomo, degenera in onnipotenza, e quindi in iniquità», dice il cardinale. «Ciò che ho visto in questi giorni è stato non applicazione della legge, ma puro formalismo, cioè il prevalere della forma sulla sostanza». Mentre, si appassiona Tonini, «la legge è vera solo quando rispetta i principi di umanità. La vicenda di Eluana ci ha posti di fronte alla radice stessa della nostra cultura, a quella humanitas che sorge nella cultura greca e si compie nel cristianesimo».
È, il modo della fine di Eluana Englaro, una svolta nella storia del nostro Paese, è un precedente che lascerà il segno? Certo, se cose simili accadessero ancora, dovremmo dire di essere in un’altra civiltà, rispetto a quella che abbiamo ereditato. E certamente Eluana è stata usata per affermare una cultura diversa, in cui i deboli valgono meno dei forti. È il tentativo dello scardinamento dell’umano. Però, io non credo che ci riusciranno. Non dobbiamo spaventarci. In Italia la pietà per i malati e deboli c’è ancora, profonda, ampia, anche se non fa rumore. Qui dove abito, all’Opera Santa Teresa di Ravenna, c’è una casa per bambini disabili gravi. Non sono solo curati, ma venerati e amati. Questa è l’Italia più vera.
Uno "scardinamento dell’umano". È un’espressione che fa venire in mente certe storie di ragazzi che bruciano un barbone, in una atroce caccia al più debole. Lei non ha, Eminenza, sentore di uno "scardinamento dell’umano" di fronte a certe tragedie troppo frequenti? C’è l’allargarsi di una cultura nichilista, un gusto della potenza fisica, dell’efficienza; in sostanza, un superomismo. Non è peraltro la prima volta che queste idee compaiono nella storia: l’eliminazione degli handicappati e dei malati di mente precede, nel nazismo, la persecuzione degli ebrei. Abbiamo visto tutto questo, e tuttavia l’Occidente si è ribellato e ha rifiutato questa logica.
La novità, forse, sta nel fatto che si pensa al dare la morte come espressione d’amore. Davanti alla clinica di Udine, lunedì sera, c’è stata gente che ha applaudito. Eluana per loro è stata "liberata". Eluana è stata usata, lo ripeto, da una cultura superomista, nicciana. Ma abbiamo visto anche una forte reazione del Paese, e un tentativo di bloccare quella condanna. Io non credo che ci saranno altri casi Englaro. Né credo che l’Italia arriverà mai a accettare l’eutanasia. Non dobbiamo spaventarci. La matrice cristiana della nostra gente è forte.
Parliamo del padre di Eluana, così certo di dover liberare con la morte la figlia. Come guardava lei, in questi giorni, al signor Englaro? Con trepidazione e tenerezza. Quanto avrei voluto parlargli. Quanto avrei avuto da dirgli.
Però è un padre che ha preteso la morte della figlia in base a una volontà per lui certa, ma mai apertamente confermata. È un padre che, come in certe civiltà antiche, ha avuto diritto di morte sulla figlia. Il problema è che in tanti padri e madri oggi manca quella sorta di "reverenza" per i figlio, che viene dalla coscienza che quel figlio non è tuo, non ti appartiene. Solo apparentemente lo hai fatto tu. In realtà, ti è stato dato. Se manca questo fondamentale stupore grato davanti al figlio, che è un dono, si può credersene padroni.
L’idea del figlio come dono sembra in declino. Un figlio oggi si programma e si pretende, se non arriva. Mia madre mi ripeteva sempre: io ti ho ricevuto dalle mani di Dio. Fin dalla prima infanzia ho avuto questa coscienza. Ricordo ancora le madri che, finito di fasciare il proprio figlio neonato, sulle bende tracciavano il segno della croce. La coscienza di appartenere a Dio è la prima cosa che ogni madre cristiana dovrebbe trasmettere ai suoi figli. Perché questa è la radice del senso religioso: lo stupore di fronte a ciò che non è nostro.
Le suore della clinica di Lecco che per molti anni hanno accudito Eluana sembrano il modello di un altro amore possibile. Di un amore puramente gratuito, di un amore che non chiede nulla in cambio. Ho visto in tv una di queste suore, e ho pensato che fra tanta pressione per la morte di Eluana sui media è passato anche qualcosa di diverso, qualcosa che sembrava meravigliare gli stessi giornalisti che ne riferivano. La cura avuta da queste suore, in silenzio, per tanti anni, è un miracolo, e testimonia di quale accoglienza è ancora capace questo nostro Paese.
Secondo gli ultimi sondaggi, l’Italia era divisa a metà fra chi chiedeva che Eluana vivesse e chi la voleva "liberare". Però il maggiore consenso alla morte veniva dai ragazzi fra i 18 e i 24 anni. Io nutro molti dubbi sui sondaggi, specie per argomenti come questo. Mi pare così arduo ridurre la realtà a una domanda di poche parole, e pretendere poi in qualche ora di trasformarla in statistica e quindi in numeri... I nostri figli non sono diversi da noi. L’importante è educare. E non con le prediche, ma facendo e mostrando ciò in cui crediamo. Qui al Santa Teresa, nella casa per bambini cerebrolesi, vengono dei ragazzi a guardare il lavoro delle assistenti. L’amore si trasmette coi fatti, non con le parole.
Proprio tra i giovani, anche se non solo, la vicenda di Eluana poneva un interrogativo frequente: che senso ha, che vita è, una vita così? Questa è la pretesa di volere capire ogni cosa, quando invece la vita dell’uomo è essenzialmente un mistero. Se ragioniamo in termini di successo, efficienza, piacere, la vita di Eluana sembra non avere alcun senso, e i malati come lei sono soltanto un peso. Ci sono cose che noi non possiamo pretendere di capire. Però, guardiamo che ruolo hanno avuto i malati nella storia della nostra civiltà, e quale carità e capacità di cura si è messa in moto da quando il Medioevo cristiano aprì i primi 'hotel Dieu' per togliere i moribondi dalle strade. La carità ha trasformato l’Occidente.
Eminenza, lei ha 94 anni. È testimone di tempi di cui la maggior parte di noi non ha alcuna memoria. Come si guardava alla morte, quando era bambino lei? Io posso dire della fattoria nella campagna piacentina in cui sono nato. Ogni nascita e ogni morte era di tutti, riguardava tutti. Nessuno viveva per se stesso, nessuno era solo.
Ora non è esattamente così, nelle nostre città. Ma non bisogna spaventarsi. La vita ricomincia con ogni generazione. Io vedo qui a Ravenna di quale entusiasmo sono capaci dei ragazzi di 14 anni, se qualcosa e qualcuno li appassiona. Non dobbiamo avere paura.