Testimonianze. Cosa resta di Gomorra vent'anni dopo l'inizio della faida di Scampia
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«Non siamo Gomorra». Gli abitanti delle Vele di Scampia, a Napoli, lo hanno scritto a caratteri cubitali su una delle tre rimaste ancora in piedi. Le altre quattro sono state abbattute. A pochi metri di distanza prende forma, pezzo dopo pezzo, il nuovo quartiere da chi si è succeduto negli ultimi trent’anni al governo della città di Napoli: nuovi alloggi popolari a misura d’uomo al posto delle Vele abbattute, la stazione della metropolitana e quei negozi che hanno portato un pizzico di normalità lì dove, per anni, l’unica cosa che si vendeva in abbondanza fino era la droga.
Eppure la vecchia Scampia è ancora lì, simboleggiata da quelle tre Vele, scenario perfetto per “Gomorra”, il “brand” narrativo che porta la firma di Roberto Saviano. Tanto che il quartiere e la creatura di Saviano a un certo punto sono diventate la stessa cosa nell’immaginario collettivo, in una perfetta identificazione, rispedita prontamente al mittente dal quartiere e dalla città intera.
Quelle guerre di camorra raccontate in “Gomorra” non sono però solo frutto dell’immaginazione del loro autore, trasfigurate in una sorta di epica del male, ma traggono ispirazione da fatti che hanno segnato per sempre la vita di questa estrema periferia settentrionale di Napoli, diventata emblema di tutte le periferie problematiche del Paese.
Esattamente vent’anni fa, infatti, prendeva il via la prima faida di Scampia, a causa di una rottura interna al clan Di Lauro, il gruppo criminale che si era impadronito delle Vele e ne aveva fatto un supermarket all’ingrosso della droga. Gli omicidi divennero all’ordine del giorno: alla fine delle faide che per anni avrebbero funestato il quartiere, si sarebbero contate centinaia di vittime, quattro delle quali completamente estranee alle fazioni in guerra tra loro. A vent’anni dall’inizio di quella strage è possibile fare un bilancio di ciò che è stato dopo quella stagione contrassegnata dal sangue: l’ora più buia per il quartiere. Le Vele, che affogano ancora nel degrado, quel degrado che nel luglio scorso ha inghiottito tre vite precipitate da una passerella malconcia all’interno della Vela celeste, testimoniano che c’è ancora molto da fare.
La nuova Scampia che sorge a due passi suggerisce invece che molto è stato già fatto. Se non altro, la tragedia dell’estate scorsa ha impresso un’ulteriore accelerazione al progetto di riqualificazione del quartiere “Restart Scampia”, portato avanti dal Comune con i soldi del Pnrr. Entro il 2026, saranno costruiti gli altri alloggi popolari per gli abitanti delle tre Vele - esclusi gli occupanti abusivi -, ne saranno abbattute due e sarà riqualificata proprio quella in cui è avvenuto il crollo, la Celeste, che ospiterà uffici pubblici. Potrebbe essere la svolta decisiva per l’area.
C’è chi è convinto che quell’etichetta scomoda - Gomorra - non abbia rappresentato solo un male. «Gomorra ha è stato uno scossone per Scampia, ha acceso a modo suo i riflettori su una realtà», sostiene don Francesco Minervino, parroco della chiesa della Resurrezione, la prima parrocchia nata a Scampia. «Quando quei riflettori si sono accesi, si è dovuto per forza fare qualcosa. Il vero cambio di passo c’è stato all’epoca del governo Monti. Da allora sono stati fatti dei chiari passi in avanti. Non si deve dimenticare che qui, all’epoca della lunga stagione della faida, si viveva rinchiusi nelle case, il quartiere era presidiato dalle sentinelle, non si poteva girare in scooter con il casco…».
Secondo don Francesco, «gran parte del merito della normalizzazione sopravvenuta è di quella gente onesta che non ha abbandonato il territorio, e che, nei decenni più bui, ha portato avanti l’anticamorra basata più su gesti concreti che sulle etichette e sull’apparenza. È a quel mondo, quel mondo del volontariato, qui così ampiamente rappresentato, che Giovanni Paolo II parlò nel corso della sua visita nel quartiere, 34 anni fa, dicendo: «Non arrendetevi al male».
Quattordici anni dopo, la violenza camorrista sarebbe esplosa travolgendo la vita della zona, ma la Scampia visitata dal Pontefice polacco portava già in sé i germi del fallimento dell’idea di edilizia popolare che ne aveva ispirato la nascita, del degrado e della presenza della camorra, che di lì a poco avrebbero portato un’intera città nella tempesta dei primi anni del nuovo secolo. Ora Scampia attende la fine del progetto di riqualificazione, perché un’era possa dirsi definitivamente chiusa. Con le ultime Vele, sarà abbattuta anche quella scritta, uguale a tante altre con le quali gli abitanti hanno sentito il bisogno di ribadire: «Noi non siamo Gomorra».