Un centinaio di brandine blu allineate sul campo da gioco, pasti freddi, notti trascorse all’umidità sotto una tensostruttura nata per avvolgere il tifo appassionato per la squadra del cuore, non i pianti di chi è fuggito dalla propria terra. La frontiera dell’emergenza migrazioni si è spostata dall’estremo sud alla costa orientale della Sicilia, meta ormai degli sbarchi assistiti organizzati dall’operazione Mare Nostrum. Un territorio che sta facendo fronte come può alla marea umana che a ogni sbarco si riversa sulle banchine, ma le cui forze non reggeranno a lungo. I primi a farne le spese sono già gli stranieri più giovani che mettono piede sul suolo siciliano e trovano ad accoglierli locali assolutamente inadeguati e tempi burocratici lunghissimi.Nel porto di Augusta, in provincia di Siracusa, dal mese di ottobre, sono approdati oltre cinquemila migranti recuperati sulle carrette del mare dalle navi della Marina Militare e condotti sulla terraferma. Il dieci per cento circa sono minori stranieri non accompagnati. Cinquecento ragazzi e ragazze tra i 16 e i 18 anni che hanno trovato come primo tetto un palazzetto dello sport, il Palajonio, tempio della squadra di calcio a 5 in A1, in attesa di essere destinati in comunità alloggio per minori. Un centinaio di essi si trovano ancora in quella tensostruttura del Comune di Augusta, attualmente amministrato da tre commissari straordinari e sull’orlo del dissesto finanziario. Gli uffici comuna-li, le forze dell’ordine, le parrocchie, i volontari si stanno facendo in quattro per garantire una vita dignitosa a questi giovani africani che dovrebbero stare in questa struttura appena due giorni e si ritrovano lì da settimane. «Stiamo facendo l’impossibile. Le parrocchie hanno fornito coperte, vestiti, scarpe. Ma la tensostruttura è usurata e non si può lasciare il carico di questa emergenza sulle spalle di questa città» è il grido d’aiuto di don Angelo Saraceno, parroco di Santa Lucia e coordinatore della Caritas della città. Il sacerdote racconta di una decina di famiglie «che si sono aperte all’affido di alcuni stranieri. Anche nel- la nostra parrocchia abbiamo accolto due ragazzi del Senegal e uno della Guinea. In passato abbiamo avuto tre somali. Ma abbiamo numeri altissimi di arrivi. Non si fa in tempo a trovare loro una sistemazione che arrivano altre migliaia di persone».Una volontaria della parrocchia San Giuseppe Innografo di Augusta, Cinzia, in una lettera ad
Avvenire, racconta il suo shock nel visitare la struttura: «L’assistenza igienico-sanitaria non mi è sembrata per niente adeguata, direi anzi che si può e si deve definirla disumana. La struttura sportiva viene contemporaneamente usata da ragazzi augustani che si allenano per il campionato. E mentre vedo i volontari sacrificarsi e mettere a rischio la loro salute per aiutare questi giovani e farli sentire meno abbandonati, sento forte la solitudine a cui le istituzioni, il Comune, lo Stato, l’Europa o non so chi altri condanna non solo i profughi, ma anche chi ha nel cuore il forte desiderio di accoglierli. Inoltre, adesso, qui c’è anche il timore è che la popolazione, stanca dell’assenza totale delle istituzioni, possa reagire».Il problema reale è che i minori stranieri non accompagnati, dal loro arrivo a carico dei servizi sociali del Comune, dovrebbero rimanere al Palajonio appena un paio di giorni, per poi essere trasferiti alla comunità di seconda accoglienza Papa Francesco a Priolo e successivamente nelle comunità alloggio sul territorio siciliano e nazionale. Ma i tempi sono lunghissimi e «le comunità sul territorio sono già piene. Inoltre, poi- ché questi ragazzi sarebbero a carico dei Comuni in cui risiedono le comunità alloggio, i sindaci, in difficoltà coi bilanci, si rifiutano di accoglierli» racconta il commissario del Comune di Augusta, il prefetto Maria Carmela Librizzi. «Siamo pienamente consapevoli che il Palajonio non è adeguato, ma l’alternativa sarebbe stata lasciare questi ragazzi per strada – aggiunge il commissario, che loda l’impegno della popolazione di Augusta –. Abbiamo trasferito i giovani affetti da malattie infettive in due locali del Comune. Stiamo cercando strutture alternative, ma l’amministrazione è in dissesto». Così l’appello a Roma. «Questa è una emergenza che non si fermerà, le navi della Marina continueranno a portare qui migliaia di profughi e centinaia di minori, che resteranno a carico del Comune che ha scarse risorse per entrare in contatto con altri Comuni per pianificare l’accoglienza di questi ragazzi. Così – propone il commissario Librizzi –, abbiamo scritto al ministero del Lavoro e delle Politiche sociali, informando anche il ministero dell’Interno, perché si crei una cabina di regia centrale, che possa regolamentare lo smistamento dei minori in comunità del territorio nazionale. Sappiamo che questa proposta è al vaglio del ministero».