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Il dossier. Save the children: troppe diseguaglianze, serve Agenda per prima infanzia

Redazione romana sabato 7 settembre 2019

Le disuguaglianze tra i bambini, per quanto riguarda l'acquisizione di capacità e competenze, si formano già nei primissimi anni di
vita, ben prima dell'ingresso a scuola. Non si tratta, tuttavia, di disuguaglianze inevitabili: frequentare l'asilo nido, così come trascorrere del tempo di qualità con i propri genitori, si dimostra un fattore determinante in grado di ridurre il gap. Eppure, in Italia, solo 1 bambino su 10 può accedere a un asilo nido pubblico, con picchi negativi che si registrano in regioni come Calabria e Campania, dove la copertura è pressoché assente e, rispettivamente, solo il 2,6% e il 3,6% dei bambini frequenta un nido pubblico. Uno scenario in cui le ripercussioni negative riguardano soprattutto i minori provenienti da famiglie
economicamente svantaggiate e che hanno dunque maggiori difficoltà nell'accedere alla rete degli asili privati non convenzionati. È quanto emerge dal rapporto "Il miglior inizio - Disuguaglianze e opportunità nei primi anni di vita", diffuso da Save the Children, l’organizzazione internazionale che da 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro - in concomitanza con l'inizio dell'anno scolastico nel nostro Paese.


Milano: serve piano organico di interventi

«La prima infanzia è un periodo cruciale della vita, quando si inizia a scoprire il mondo, se stessi e gli altri. È fondamentale che il governo assuma tra le proprie priorità quella dell'investimento nell'infanzia a partire dai primi anni di vita, promuovendo in Italia un'Agenda per la prima infanzia, che preveda un piano organico di interventi di sostegno alla genitorialità, servizi educativi di qualità e accessibili a tutti, misure di welfare familiare, lotta alla povertà economica ed educativa, sostegno all'occupazione femminile e conciliazione tra lavoro e famiglia», afferma Raffaela Milano, direttrice dei programmi Italia-Europa di Save the Children.


«Mamma che lavora, fattore di protezione»

Il rapporto contiene i risultati di una indagine pilota condotta tra marzo e giugno in 10 città e province italiane - Brindisi, Macerata, Milano, Napoli, Palermo, Prato, Reggio Emilia, Roma, Salerno e Trieste - realizzata in collaborazione con il Centro per la salute del bambino, che ha anche fornito una supervisione scientifica insieme all'Istituto degli Innocenti e all'Università di Macerata. Coinvolti 653 bambini di età compresa tra 3 anni e mezzo e 4 anni e mezzo. I bambini che hanno frequentato l'asilo nido - mettono in evidenza i risultati della ricerca - hanno risposto in maniera appropriata a circa il 47% dei quesiti proposti a fronte del 41,6% di quelli che hanno frequentato servizi integrativi, che sono andati in anticipo alla scuola dell'infanzia o che sono rimasti a casa e non hanno quindi usufruito di alcun servizio. Una differenza che si fa ancor più marcata per i minori provenienti da famiglie in svantaggio socio-economico. Tra questi, infatti, coloro che sono andati al nido hanno reagito appropriatamente al 44% delle domande contro il 38% dei bambini che non lo hanno frequentato. Inoltre le mamme lavoratrici rappresentano un fattore di protezione rispetto alla povertà educativa, in particolare per i bambini che vivono in un contesto di disagio socio-economico. Secondo i risultati dell'indagine, infatti, i bambini con madre disoccupata o che si dedica a un lavoro di cura non retribuito rispondono rispettivamente in modo appropriato al 38,4% e al 43,1% dei quesiti. Una percentuale notevolmente inferiore rispetto a quella dei bambini la cui madre svolge un lavoro manuale (48%), un lavoro da impiegata (51%) o da dirigente, imprenditrice o libera professionista (55%).