La chiave per aprire la porta su una Sardegna vitale è sconosciuta è Daniela Ducato. Il suo è un mondo produttivo di piccole e medie imprese, molto lontano dalle vicende drammatiche dell’Alcoa, del Sulcis, di Iglesias e Carbonia nonostante Guspini, la sua città, disti pochi minuti di auto. Imprenditrice della
green economy, pluripremiata in Italia per i prodotti innovativi di bioedilizia di Edilana - che ha scoperto e utilizza la capacità termoassorbente della lana di pecora sarda, le peculiarità della terra cruda e dei graniti locali e crea vernici vegetali con olio e carciofi - Ducato ha riscoperto saperi antichi dell’isola, segreti e tipicità del territorio. Oggi si definisce portavoce di un distretto che spazia su 42 micro aree dando lavoro a 260 persone. Alle spalle ha una storia di creatività e di reti imprenditoriali, scientifiche e artigianali, cresciuta senza aiuti pubblici e senza consumare altre energie che quelle del sole e del vento. Per lei, diventata imprenditrice applicando le idee di don Milani, la filosofia dei piccoli passi e della sostenibilità è essenziale per guardare alle sfide dei mercati globali.
Tre miliardi di euro di contributi pubblici in 15 anni all’Alcoa che chiude i battenti a Porto Vesme lasciando a casa 800 persone. È possibile uno sviluppo diverso per la Sardegna?Non c’è solo quel caso, se guardo dalla finestra, mi deprimo vedendo scheletri di capannoni finanziati dal pubblico e poi chiusi oppure aziende finte che vanno avanti con la cassa integrazione. Mentre potrei farle una lunga lista di imprese sane che devono chiudere per crediti, non per debiti. E potrei citarle i bandi pubblici dove viene chiesto il porfido argentino per costruire anziché il granito sardo. Il problema è che per troppo tempo la Sardegna ha vissuto uno sviluppo "dopato" dai fondi pubblici. La politica ha gravi responsabilità, li ha usati con aziende piccole e grandi per creare padrinati. Questo ha causato danni incalcolabili rovinando anche molti bravi imprenditori. Ma se l’80% si droga, devi adeguarti per non uscire dal branco
E l’Alcoa?Soffro per chi rischia di perdere il lavoro, la mia terra non ha bisogno di guerre e dolori. Ma aprire qui un’azienda come quella è come piantare una betulla nel mio giardino. Albero bellissimo, ma deve crescere altrove. Abbiamo sprecato troppi soldi pubblici. Voltiamo pagina, servono imprese che riflettano la nostra cultura e il paesaggio sardo, noto in tutto il mondo, figlie di una comunità.
Quali sono le alternative praticabili?Credo che il metodo per creare sviluppo autentico sia l’ascolto del territorio. Ad esempio perché siamo andati a cercare le fibre tessili ottenute con il petrolchimico quando qui abbiamo le migliori fibre naturali del pianeta? Così la politica ha creato lavoro e ottenuto consensi, ma oggi quel modello è finito e non ce n’è un altro. L’alternativa vera sono i giovani con le loro idee. Ne stanno tornando tanti in Sardegna con progetti d’impresa fermati dalle lungaggini burocratiche. Nessuno ne parla, da loro fiducia o li mette in rete.
Chi può valorizzarli?Anche la politica, a patto che non si sostituisca, ma cammini a fianco all’imprenditore e non sia assistenziale, ma trasparente. Ho ancora speranza, queste ultime vicende ci hanno fatto capire la necessità di invertire la rotta.