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Sanità. In 20 milioni faticano per le cure. La “terza via” delle cooperative

mercoledì 4 luglio 2018

Le cure per la salute come cartina di tornasole del disagio sociale ed economico dell'Italia. Sono oltre 20 milioni le persone in difficoltà, tra chi rinuncia alle cure (12,2 milioni), chi si indebita per farlo (7 milioni) e chi vende casa per farlo (2,8 milioni). Mentre sono 11 milioni gli italiani che si sono assicurati per la copertura sanitaria. La salute diventa quindi un bene solo per chi può pagare. Lo afferma Confcooperative Sanità che ha reso noto, durante l'assemblea annuale, i dati rielaborati su fonte Istat e Censis e ha indicato le cooperative come una terza via per affiancare il Ssn.

«Questi numeri tracciano in modo drammatico la mappa della diseguaglianza del Paese», sottolinea Giuseppe Milanese, confermato alla presidenza di Confcooperative Sanità. Per Milanese il Ssn «sta vivendo una crisi senza precedenti. Il risultato - continua - è l'intasamento delle strutture ospedaliere dove un ricovero costa non meno di 700-800 euro al giorno. Con gli stessi soldi si potrebbero assistere, quotidianamente, 10 persone fuori dall'ospedale», precisa il presidente di Confcooperative sanità ricordando che «è sul territorio che va costruita la risposta: un sistema di assistenza primaria, una rete complessa e capillare in grado di prendere in carico direttamente nel cuore della comunità il bisogno assistenziale dei cittadini, concentrando sull'ospedale
solo cure e interventi più importanti».

L'emorragia del personale sanitario

Nei prossimi anni, in considerazione dell'andamento demografico, «avremo - aggiunge Milanese - da un lato una crescente domanda di servizi, dall'altro un calo progressivo del numero di medici e infermieri impiegati nel Ssn. Solo nel 2015 si sono registrati 10mila dipendenti in meno rispetto all'anno precedente. Tra il 2009 e il 2015 i posti persi sono stati complessivamente 40.364. Situazione destinata a peggiorare se si considera che l'età media è salita nel 2015 oltre i 53 anni per i medici ed oltre i 47,4 per gli infermieri. Nei prossimi 5 anni assisteremo a un esodo di 30.000 medici che determineranno un calo del 30% delle attività. Già oggi la penuria di anestesisti (ne mancano 4.000) fa saltare 1 intervento su 3».

Il problema sta nel fatto che alla drastica riduzione dei ricoveri e delle giornate di degenza ospedaliere «non è corrisposto lo sviluppo di un sistema integrato di assistenza nel territorio. In questo modo si allungano le liste di attesa, che rappresentano il motivo principale per cui gli italiani si rivolgono a strutture private affrontando costi maggiori. Un esempio su tutti: per una mammografia l'attesa media è di 122 giorni, che al Sud arrivano a 142», ha rimarcato.

Le diseguaglianze tra Nord e Sud

A fronte poi di 4,5 milioni di disabili (di cui oltre 2 milioni in condizioni di particolare gravità) il 30% di questi vive solo, con punte di oltre il 42% tra i disabili over 75. I posti letto per anziani non autosufficienti nelle strutture residenziali e semiresidenziali sono solo 250mila, solo un terzo rispetto alla Francia e un quarto rispetto alla Germania. «Una situazione - afferma Milanese - che è destinata a peggiorare nei prossimi anni con un ritmo stimato di 8.000 posti letto ogni anno. Stesse proporzioni allarmanti per i servizi sociosanitari: li ricevono solo 760mila rispetto ai 2,7 milioni anziani che ne avrebbero diritto e bisogno». Appare profonda la spaccatura geografica del Paese: il 69% delle residenze sociosanitarie sono al Nord, solo il 7% al Sud, dove molti servizi di welfare vengono erogati direttamente dalle famiglie, «ma non basta a far fronte alla domanda».

Occorre quindi riorganizzare i servizi in un Paese che invecchia. La spesa sanitaria a carico dei privati nell'ultimo anno ha raggiunto i 40 miliardi di euro (+10,3% tra 2012-2017). Quella pubblica, invece, rappresenta il 75% della spesa sanitaria corrente e negli stessi anni ha registrato una crescita media annua dello 0,5% rispetto a quella delle famiglie che è aumentata mediamente del 2% annuo. Una situazione, precisa Milanese, che «grava maggiormente sulle famiglie a basso reddito: 7 su 10 dichiarano infatti che la spesa per la salute incide pesantemente sul bilancio familiare, mentre il 47% dichiara di tagliare altre spese per pagare la
sanità».

L'apporto possibile delle cooperative

Il problema però, ha sottolineato il presidente di Confcooperative Sanità, non è la spesa in sé. «Non chiediamo di aumentarla ma di ottimizzarla - afferma -, considerando che su 26 miliardi di spesa per LTC, appena 588 milioni vanno in servizi e il resto in trasferimenti monetari. In secondo luogo chiediamo di riorganizzare i servizi in modo efficace, per rispondere ai bisogni di un Paese che cambia e invecchia sempre di più. In questo quadro crediamo che la cooperazione sanitaria sia la via per ripensare il sistema. Una terza via, tra Stato e mercato, che si sostanzia in un network multiprofessionale e integrato di cooperative di medici, di operatori sanitari, di farmacisti e di mutue, che si propongono di affiancare il Ssn in chiave sussidiaria, non semplici erogatrici di prestazioni, ma corresponsabili nella gestione dei servizi di fronte ai cittadini. Uno strumento prezioso - conclude Milanese - per ridurre le disuguaglienze e contrastare la privatizzazione strisciante del Ssn».