«Avete saputo? Sandokan si è pentito...». Ieri mattina, rilanciata dai siti web e dai notiziari tv, la notizia è diventata subito travolgente, prima nelle strade di Casal di Principe e poi nel resto d’Italia. Il tam tam delle indiscrezioni era in corso dalla sera prima, tanto che di buon mattino l’ipotesi era già trapelata su alcuni quotidiani e siti d’informazione campani. Ma la conferma è arrivata solo a metà mattinata, da parte della Direzione nazionale antimafia. L’ex superboss dei Casalesi Francesco Schiavone, soprannominato appunto “Sandokan”, ha deciso di avviare un percorso di collaborazione con l’autorità giudiziaria. Una scelta che, si è appreso, sarebbe maturata nelle ultime settimane, durante le quali i magistrati della Dna e quelli della Direzione distrettuale antimafia di Napoli hanno cercato di “proteggere” la notizia, per poter raccogliere i primi elementi necessari a consolidare il percorso di collaborazione e per lavorare nel massimo riserbo. A Roma in via Arenula, dove ha sede il ministero della Giustizia, si respira soddisfazione per questa collaborazione “eccellente”: «Il pentimento di Schiavone è vittoria del 41bis - commenta il sottosegretario alla Giustizia Andrea Delmastro Delle Vedove -. Il carcere duro funziona».
Detenuto da ventisei anni
Attualmente Schiavone ha settant’anni, ma è dietro le sbarre dal 1998, quando venne catturato dalle forze dell’ordine mentre si nascondeva in un bunker a Casal di Principe, nel suo territorio (come accade per i boss di peso): quando entrarono, accanto alle armi da fuoco, gli investigatori trovarono anche alcuni dipinti realizzati dal boss. Condannato all’ergastolo per numerosi delitti, Schiavone sta scontando la sua pena in regime di 41 bis. Dopo le voci su una presunta patologia tumorale (ma gli accertamenti clinici non ne avrebbero trovato conferma), da poco tempo è stato trasferito nel penitenziario dell’Aquila, in Abruzzo, dove si trovano altri reclusi con un passato criminale di spicco. È il secondo capo clan dei Casalesi a pentirsi dopo Antonio Iovine, detto ‘o ninno, che ha iniziato il percorso di collaborazione dieci anni fa. Ma col pentimento di Schiavone, potrebbe aprirsi una fase ancor più importante nel contrasto giudiziario alla camorra di quel territorio e nella ricostruzione di episodi criminali efferati, rimasti ancora da chiarire. Già perché Sandokan (appellativo dovuto alla lunga capigliatura e alla barba che portava da giovane, che lo rendeva simile al personaggio salgariano interpretato in tv da Kabir Bedi), è fra i fondatori del clan dei Casalesi, insieme al boss Francesco Bidognetti , rimasto invece ancora fra gli “irriducibili”, insieme a Michele Zagaria.
I primi segnali del pentimento
Schiavone era stato condannato all’ergastolo nel maxi processo Spartacus e ha sulla coscienza diversi omicidi. Prima di lui, hanno deciso di pentirsi il primogenito Nicola, nel 2018, quindi nel 2021 il secondo figlio Walter. Restano in carcere gli altri figli: Emanuele Libero, che uscirà di cella ad agosto prossimo, e Carmine. Mentre la moglie di Sandokan, Giuseppina Nappa, non vive più a Casal di Principe. Chi da anni analizza il contesto criminale, legge fra i segnali dell’avvio del pentimento il fatto che due mesi fa, per la prima volta, in video collegamento col tribunale di Napoli ,il boss abbia richiesto il rito abbreviato in un processo che lo vede imputato per tre omicidi (Luigi Diana, Nicola Diana e Luigi Cantiello). Un cambio di rotta in quel momento inatteso, ma rivelatore di uno stato d’animo diverso, dopo anni spesi nelle aule giudiziarie a proclamare la propria innocenza.
Offerta protezione ai familiari
La notizia del pentimento del boss arriva a pochi giorni dal trentennale dell’uccisione di don Peppe Diana, il sacerdote e capo scout fatto assassinare proprio dai Casalesi. E proprio a Casal di Principe, c’è chi confida che nei giorni scorsi alcuni investigatori delle forze dell’ordine si siano recati dai familiari di Schiavone, per proporre ad alcuni parenti stretti di entrare nel programma di protezione del ministero dell’Interno, ma finora pare che gli stessi non abbiano accettato. Gli apparati di sicurezza puntano a contenere il rischio - come avvenuto in passato dopo la notizia di pentimenti “eccellenti” ai piani alti di gruppi criminali - che possa innescarsi una stagione di vendette incrociate e ritorsioni, da parte di chi teme che Schiavone possa rivelare segreti criminali “condivisi”, su cui finora aveva mantenuto il silenzio.
Il “new deal” di Gratteri
Da più parti, il pentimento di Schiavone viene interpretato anche come uno dei primi frutti della nuova stagione inaugurata alla procura di Napoli dall’arrivo, nell’ottobre scorso, del nuovo procuratore Nicola Gratteri, «capace in pochissimo tempo di lasciare il segno», per dirla con le parole di un ex pm anticamorra come Catello Maresca, che in anni recenti -assieme a Vittorio Pisani, all’epoca investigatore e oggi capo della Polizia - è stato in prima linea nelle inchieste sul cartello criminale.
«La mafia casalese non c’è più»
Sempre Maresca arriva a ritenere che «il pentimento di Schiavone sia un segnale formidabile», che mostra come «la mafia casalese, combattuta in maniera molto efficace a partire dagli inizi del 2000, non esiste più». Nei fatti, tuttavia, forse è ancora presto per intonare il de profundis, anche perché due padrini del calibro di Bidognetti e Zagaria restano chiusi in una coltre di silenzio e perché, seppur smembrato e decapitato, il clan potrebbe detenere tuttora partecipazioni in traffici illeciti e interessi ramificati.