Reggio Calabria. Al via lo sgombero della baraccopoli di San Ferdinando
ALLE 8,46 CROLLA LA PRIMA BARACCA NELLA TENDOPOLI DI SAN FERDINANDO
Alle 8,40 si muovono le ruspe del genio militare. Alle 8,46 crolla la prima baracca. Si comincia dalla zona dove è scoppiato l'ultimo incendio del 16 febbraio, nel quale è morto il giovane senegalese Moussa Ba. Ma prima dell'intervento dei mezzi meccanici alcuni uomini di una ditta specializzata, con tute bianche, mascherine e respiratori, bonificano l'area dalle tante lastre d'amianto che gli immigrati hanno utilizzato per costruire le baracche. Per anni l'hanno respirato e nessuno si è preoccupato. Ora che si sgombera sì.
Intervengono anche i vigili del fuoco per portare via bombole del gas e altro materiale pericoloso. Poi tocca alle grandi ruspe e agli escavatori mentre la zona è cinturata dalle forze dell'ordine in assetto antisommossa. In cielo controlla un elicottero della polizia.
Si va avanti rapidamente, anche perché le baracche di questa zona sono in gran parte di plastica e legno. Ma a un certo punto una ruspa si ferma. Sotto i teli di plastica blu di una grande baracca è tutto eternit, amianto. Devono intervenire nuovamente gli esperti in tuta bianca. Ma il materiale pericoloso è troppo. Si rimettono i teli. Per ora la baracca è risparmiata.
Intanto all'ingresso dell'insediamento si discute tra immigrati, forze dell'ordine e operatori. Non c'è tensione ma non tutto è chiaro. Alcuni ragazzi si stanno allontanando da soli col trolley o lo zaino. Pochi, non più di una ventina, raggiungono i 18 pullman che li dovrebbero portare nei Cas e negli Sprar. Tantissimi, sicuramente più di trecento, sono in fila per entrare nella nuova tendopoli, dove sono state installate 40 nuove tende. Un altro centinaio sono invece seduti davanti alla baraccopoli. Non sanno dove andare o forse sono ancora indecisi se accettare le destinazioni proposte. Ma anche perché i posti disponibili nella nuova tendopoli sono sicuramente insufficienti e pochi vogliono allontanarsi.
Poco dopo le 7 sono cominciate le operazioni di sgombero della baraccopoli di San Ferdinando. Circa 600 uomini in campo, tra forze dell’ordine, vigili del fuoco e servizi sanitari. Sul posto ci sono quattro mezzi del genio militare, oltre a operatori della protezione civile e della Caritas.
Diciotto sono i pullman pronti per trasferire in strutture di accoglienza i braccianti ancora presenti. In tutto tra vecchia tendopoli e baracche dovrebbero essere poco meno di mille, 3-400 dovrebbero trovare posto nella nuova tendopoli dove sono state installate altre 40 tende.
Gli altri dovrebbero essere trasferiti i Cas e Sprar, anche molto lontano, in altre province. E proprio su questo stanno sorgendo i primi problemi e le prime tensioni. Infatti c'è chi ancora sta lavorando, chi deve ancora ricevere la paga per il lavoro svolto, chi sta rinnovando i documenti o è in attesa della domanda per il permesso di soggiorno. Per loro andare lontano renderebbe tutto più complicato. Infatti alcuni si sono già allontanati autonomamente, e altri lo stanno facendo dall'alba alla ricerca di un alloggio in zona. Si caricano le poche cose e anche il materiale per costruirsi una baracca altrove. Ma, almeno per ora, qui ci si limita a discutere, chiedere informazioni.
Queste prime notizie che ci vengono riferite perché i giornalisti sono tenuti lontano. C'è sconcerto e sconforto. Ancora una volta solo soluzioni di emergenza e non vere soluzioni.
LA TESTIMONIANZA DI FOLAYE: «HO PERSO CASA E LAVORO»
"Io non ho un posto dove andare", ci dice timidamente Folaye, 27 anni della Costa d'Avorio. "La mia roba è sulla strada ma ora vedo se posso prendere un treno e andare a Napoli. Però così - aggiunge amaramente - perdo il lavoro. Ho un contratto fino a giugno in un vivaio di San Ferdinando ma ho detto al padrone che ora non potrò più andare. Peccato. Ma ormai è così - prosegue tristemente -, non abbiamo altra scelta". Andare in affitto? "Ho provato a Rosarno ma non ci vogliono o non ci fanno un contratto". E così ora Folaye riparte. C'è abituato. In Italia dal 2011 ha raccolto pomodori a Foggia, pesche nel Napoletano e agrumi in Calabria. Ha il permesso di soggiorno umanitario che dopo il decreto sicurezza non vale più niente. E ora ha perso anche il lavoro regolare. Ma è dispiaciuto anche perchè, dice, "la baracca l'avevo costruita coi miei soldi in lamiera e ora non c'è più". Senza casa e senza lavoro.
IL SINDACO DI SAN FERDINANDO: «ORA NON LASCIATECI SOLI»
"Non era così che doveva andare". C'è un velo di tristezza nelle parole del sindaco di San Ferdinando, Andrea Tripodi. "Certo non si poteva più tollerare una situazione così pericolosa e drammatica - aggiunge -però si è perso troppo tempo. E questo è responsabilità dell'insipienza delle istituzioni nazionali e regionali. Si doveva fare prima e meglio". Lui lo scorso 26 febbraio con una propria ordinanza ha dato il via allo sgombero ma ora si preoccupa di quello che dovrebbe essere fatto, perchè sbaraccare non basta. "Ora bisogna dare una risposta alle legittime richieste di questi ragazzi che, ricordiamolo, sono la forza lavoro di queste aree. È necessario - predisporre tutte le condizioni e le politiche sociali necessarie per dare un’accoglienza dignitosa e civile a questi ragazzi che vengono qui per lavorare e che costituiscono la base portante della nostra economia. E in questo mi auguro di non essere lasciato solo". Così come per altre due questioni.
"La nuova tendopoli con 450 persone era a norma, ora col doppio di persone e molti meno spazi non lo è più". Con ovvi rischi che vanno affrontati e risolti. Ma il comune che gestisce la tendopoli da solo non ce la può fare. Anche per lo smaltimento delle baracche abbattute, diventati rifiuti speciali di difficile smaltimento, soprattutto in una regione come la Calabria in perenne emergenza rifiuti. "Per i rifiuti - sottolinea il sindaco - stiamo facendo noi da soli. Ci siamo rivolti a ditte specializzate per lo smaltimento dei rifiuti speciali. Stiamo pagando noi ma spero che poi ci rimborsino queste spese. Non ci possiamo permettere di caricarci anche di questo. Non possiamo pagare per tutti".
ALLA FINE DELLA GIORNATA UN TERZO DI BARACCHE RASE AL SUOLO
Alla fine della giornata un terzo delle baracche è raso al suolo, ma l'insediamento non è ancora vuoto. Come fa sapere il Viminale, 300 braccianti immigrati ci passeranno la notte. Infatti solo 347 hanno trovato una sistemazione: 274 nella nuova tendopoli a poche decine di metri dalle baracche, mentre appena 73 hanno accettato il trasferimento nei Cas e negli Sprar. Nella nuova tendopoli
sarebbero ancora disponibili 176 posti, insufficienti per i 300 rimasti nelle baracche. Dove andranno? Forse a raggiungere quelli che si sono allontanati autonomamente, cercando non lontano qualche soluzione abitativa, magari abusiva. Sono le domande alla fine di una giornata campale ma senza tensioni o violenze, grazie soprattutto alla grande professionalità e pazienza delle forze dell'ordine, coordinate dal questore di Reggio Calabria, Raffaele Grassi, molto soddisfatto del risultato. "Dovevamo intervenire per mettere fine a una situazione disumana ma anche per eliminare alcune attività illegali. E lo abbiamo fatto bene". Positivo anche il commento del prefetto Michele di Bari. "Si sta coniugando il concetto di legalità a quello di umanità. Per la settimana prossima ho già convocato una riunione in prefettura perché quelle misure che abbiamo invocato, anche con la Regione e la Città Metropolitana, quanto prima possano essere attuate".
È, si spera, il domani, ma oggi va di scena lo sgombero. In serata un gruppo di immigrati partecipa alla celebrazione delle ceneri nella parrocchia di S. Antonio in contrada "Il bosco" di Rosarno. È stata portata anche la croce di metallo che si trovava nella baracca-cappella, anch'essa destinata all'abbattimento. E il parroco don Roberto Meduri, così come don Nino Massara, parroco di San Giuseppe a San Ferdinando, ha utilizzato le ceneri dell'ultimo incendio della baraccopoli, unite a quelle delle palme. Perché oggi non si può non fare memoria.