Attualità

L'esperta. Saman, aiuti «frenati» dalla legge

Lucinao Moia mercoledì 16 giugno 2021

Il volto sorridente di Saman

Liviana Marelli (Cnca): rispettata la sua volontà. Non abbiamo strumenti per interventi più decisi Domani la testimonianza del fratellino minorenne: ha già raccontato che la sorella è stata strangolata È attesa per domani al tribunale di Reggio Emilia la testimonianza – ritenuta decisiva – del fratello minorenne di Saman nel corso dell’incidente probatorio, richiesto dal sostituto procuratore Laura Galli che coordina le indagini e accolto dal gip. Il ragazzino, che era stato fermato il 10 maggio a Imperia insieme allo zio Danish (all’epoca ancora non era stato spiccato il mandato di cattura) e portato poi in una comunità protetta ligure e poi trasferito in una struttura del Bolognese dove tuttora si trova in protezione, è stato il primo, come si evince dall’ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice, a raccontare agli investigatori che ad ammazzare, strangolandola, la sorella sarebbe stato lo zio su richiesta dei genitori che sono entrambi indagati per omicidio premeditato in concorso e sono latitanti in Pakistan dove sono tornati lo scorso 1 maggio. La conferma arriva anche dalle liste d’imbarco di Milano Malpensa e dalle telecamere dell’aeroporto. Così come nel registro del fascicolo d’inchiesta ci sono lo zio Danish Hasnain, il 33enne ritenuto l’esecutore materiale del delitto, il cugino 35enne Nomanhulaq Nomanhulaq – entrambi ricercati dai servizi di cooperazione internazionale in Europa, dove si ritiene si nascondano – e l’altro cugino Ikram Ijaz, il 28enne unico arrestato della vicenda e che ora si trova in carcere a Reggio Emilia dopo essere stato fermato a Nimes, in Francia, il 28 maggio scorso mentre tentava di raggiungere alcuni parenti in Spagna, a bordo di un Flixbus diretto a Barcellona. Ikram Ijaz ha dichiarato di essere «estraneo alla vicenda». I tre erano stati ripresi dalle telecamere di videosorveglianza della cascina di Novellara mentre con pale, piede di porco e secchio si dirigevano in campagna il 29 aprile, dove si presume essere stato occultato poi il cadavere nella notte tra il 30 aprile e l’1 maggio.

Ricerche a Novellara - .

Una ragazza di 17 anni chiede aiuto ai servizi sociali. In famiglia vive un clima irrespirabile. I genitori reprimono il suo desiderio di studiare, di intrecciare rapporti sociali. La tengono di fatto segregata. Lei accetta inizialmente la proposta di entrare in una comunità. Ma poi, al compimento dei 18 anni, in bilico tra il sogno di libertà e la speranza di liberarsi da tradizioni mortificanti, sceglie comunque di far ritorno a casa. E qui succede ciò che tutti temono. Avendo nel frattempo compiuto 18 anni, nessuno ha potuto impedirlo. Sembra il caso di Saman, anche se Liviana Marelli, lunghissima esperienza come assistente sociale, responsabile nazionale area infanzia, adolescenti e famiglie del Cnca (Coordinamento nazionale comunità di accoglienza), non entra nel caso specifico («sarà la magistratura a farlo»), ma accetta di riflettere sul ruolo dei servizi e sulla necessità di modificare una cultura tutta al maschile che fa della donna 'oggetti' di proprietà.

Cosa possono fare i Servizi sociali per proteggere una ragazza che chiede aiuto?
Se la persona è maggiorenne le possibilità di intervento 'autoritativo' sono pressoché nulle senza la sua volontà. Il servizio sociale – e in generale gli operatori dei servizi socioeducativi – può intervenire d’autorità, ma a seguito e in applicazione di un provvedimento dell’autorità giudiziaria. Diversamente non ha il potere di allontanare neppure un minorenne, se non in casi di urgenza, di evidente e conclamato pericolo in applicazione dell’articolo 403 del Codice civile. Anche in questo caso comunque il provvedimento di allontanamento urgente deve essere successivamente ratificato dalla magistratura minorile, come è giusto sia.

Una neo-maggiorenne che vive in una comunità protetta e vuole continuare a rimanere in quella struttura, ha qualche strumento legislativo a sua disposizione per tutelarsi?
Si certo, è previsto l’istituto del 'prosieguo amministrativo' che garantisce il prolungamento degli interventi di accoglienza, accompagnamento educativo ecc. fino al 21 anno di età. La richiesta viene fatta prima del compimento dei 18 anni (senza questa esplicita richiesta dell’interessato/a il procedimento non può neppure partire) e sarà il Tribunale per i minorenni a decidere in merito, con uno specifico provvedimento.

Liviana Marelli - .

Ma se i servizi sociali, di fronte a una ragazza maggiorenne da pochi giorni – quindi non certamente una persona 'adulta', almeno dal punto di vista dell’equilibrio psicologico – comprendono che esiste un pericolo reale, non hanno la possibilità di segnalare il problema alle forze dell’ordine, oppure alla magistratura?
La denuncia può essere fatta solo dall’interessata. E dico purtroppo. Il tanto contestato articolo 403 del codice civile vale soltanto per i minorenni. Siamo di fatto disarmati. Certo, si può darle tutte le informazioni possibili, sostenerla, indirizzarla, anche accompagnarla a sporgere denuncia, oppure a un 'centro antiviolenza' o in una 'casa rifugio' dove si può essere accolti anche senza denuncia, ma se l’interessata è d’accordo. Ma solo, ripeto, se lei lo vuole. Una persona maggiorenne non può essere messa in protezione allontanandola da casa se lei esprime una volontà diversa.

Neppure quando ci sono rischi o timori di un possibile reato? Non si tratta di un grave vuoto legislativo?
Il servizio sociale non ha funzioni di polizia. E le stesse forze dell’ordine intervengono in caso di flagranza di reato o, come dicevo, in seguito a una denuncia. Nel tempo in cui rimane in comunità, si può certamente lavorare per aiutarla a comprendere meglio il rischio di un rientro a casa. Si può aiutarla a valutare positivamente la richiesta di prosieguo amministrativo per mantenere l’accoglienza in comunità e progettare con lei un percorso di avvio all’autonomia in contesti lontani dalla famiglia d’origine per garantire un futuro. Se ne fanno molti di questi progetti.

Cosa possiamo fare per contrastare e reprimere la violenza maschile contro le donne che in certe culture - ma purtroppo anche da noi - sembra godere ancora di ampia diffusione?
Intanto riconoscere che Saman è vittima di femminicidio e ritenerci parte in causa. Senza attenuanti, senza scuse e senza deleghe, senza pensare che non è anche 'compito mio'. Senza salvarsi la coscienza. Siamo tutti coinvolti perché si tratta di cambiare paradigma culturale che riguarda in generale la struttura sociale centrata sul potere (maschile), non è solo una questione di alcune culture. Basti vedere quanti femminicidi sono causati da insospettabili uomini italiani. Occorre scegliere linguaggi non ostili, comportamenti che mettano al bando, sempre e con fermezza, forme violente, inique, discriminanti nei confronti delle donne, lavorare per cambiare paradigma. Oppure saremo sempre tutti responsabili».