Attualità

Il retroscena. Sulla Tav è scontro nel governo: aut aut di Di Maio, ma Salvini non cede

Angelo Picariello e Marco Iasevoli venerdì 8 marzo 2019

La conferenza stampa più difficile di Giuseppe Conte è un lungo ondeggiare. Se una frase mette un sassolino sulla bilancia di Di Maio, la successiva lo mette sulla bilancia di Salvini. Uno sforzo di equilibrio, accompagnato da parentesi lunghissime che hanno il solo scopo di allontanare il momento della verità che però, poi, arriva quando il premier ammette che lui condivide l’analisi costi-benefici contraria alla Tav. È il punto di arrivo di un faccia a faccia complicatissimo avvenuto con Salvini prima di chiudere il vertice della notte tra mercoledì e giovedì: «Matteo, comprendo le tue ragioni ma io sto con Luigi». In quel momento il leader della Lega comprende che Di Maio è arrivato al punto estremo della sua tenuta: o riesce a bloccare la Tav o apre la crisi di governo. E Conte, premier indicato dal Movimento, non può più fare l’arbitro. Lo dice il capogruppo al Senato M5s, Stefano Patuanelli, nella riunione dei gruppi: «Se c’è la Tav non c’è più il governo, e viceversa».

All’aut-aut Di Maio ci è arrivato con un percorso sofferto. M5s deve recuperare consenso per le Europee. O lo recupera attraverso l’azione di governo, e quindi invertendo i rapporti di forza apparenti con la Lega. O lo recupera chiedendo il voto anticipato. E quando si trova di fronte al 'prendere o lasciare' notturno, Salvini, a sor- presa, non si scompone e conferma che per lui, per ora, il governo non è in discussione. Anche la dichiarazione che il leader della Lega fa in serata è forte ma non fortissima: «L’Italia ha bisogno di più infrastrutture, strade e treni. Non si può tornare indietro, bisogna andare avanti». E poi: «Conto di andare avanti a meno che i 'no' non diventino troppi», prosegue. «La Tav? – insiste ma senza andare oltre – Vediamo chi ha la testa più dura, vado fino in fondo...». Ma dopo poco arriva la risposta piccata Di Maio: «Minaccia la crisi dopo aver violato il contratto? Se ne assume la responsabilità». In realtà l’unica richiesta che Salvini ha fatto a Conte è quella di trovare un modo di non mettere la parola «fine» all’opera, ma di concordare con Francia e Ue un cammino che porti alla ripresa del percorso. In questo quadro confuso sbaglia chi immagina il Quirinale pronto a intestarsi una mediazione con la Francia. Già piuttosto ingombrante risulta essere agli occhi di Mattarella il ruolo di interlocutore privilegiato che Macron gli ha assegnato, laddove questioni operative e di opportunità non possono che essere gestite, e sbrogliate, dall’esecutivo. In attesa quindi che la discussione si avvii nelle sedi opportune, il Quirinale resta in attesa di capire (wait and see) le vere determinazioni del governo.

Mattarella non ha mai rinunciato a spalleggiare le decisioni dell’esecutivo come è avvenuto, ad esempio, nella delicata trattativa con la Ue per la legge di Bilancio. Ma in questo caso non c’è nulla più di un orientamento del presidente del Consiglio. Laddove - ed è questa la stella polare del capo dello Stato - la scelta che l’esecutivo ora mette in discussione è una decisione del Parlamento e la maggioranza di governo avrebbe tutti i numeri per portarla nella sede propria, ossia le Camere. Lo stallo sulla Tav - è un inciso in una giornata caotica - ha fatto registrare anche un mezzo sgarbo istituzionale, per l’inizio con un’ora e mezza di ritardo del Consiglio supremo di Difesa al Quirinale.