L'analisi. Perché Salvini accetta il voto russo e manda in cortocircuito il governo
Prima la morte di Navalny, per la quale non ha voluto ammettere la responsabilità di Putin, ora il voto russo, con la vittoria tanto netta, quanto discutibile, dello “zar” del Cremlino. Matteo Salvini prosegue a marcare le distanze con il governo di cui è vicepremier e ministro (oltre che con la quasi totalità delle cancellerie europee) e saluta la rielezione dell’autocrate di Mosca come un risultato legittimo e privo di condizionamenti o irregolarità. «In Russia hanno votato, ne prendiamo atto – ha dichiarato a margine di un convegno sul trasporto pubblico a Milano -. Quando un popolo vota ha sempre ragione, le elezioni fanno sempre bene sia quando uno le vince sia quando uno le perde». Parole condite da paragoni piuttosto temerari su quanto accade nelle consultazioni nostrane e da un improbabile auspicio sugli effetti delle urne russe per la pacificazione del pericolante quadro geopolitico globale: «Io quando perdo le elezioni cerco di capire dove ho sbagliato e come fare meglio la prossima volta. Ci sono state delle elezioni, prendiamo atto del voto dei cittadini russi, sperando che il 2024 sia l'anno della pace. Mi preoccupa che qualche leader europeo parli come se fosse naturale di guerre e di militari da mandare a combattere perché la terza guerra mondiale è l'ultima cosa che voglio lasciare in eredità ai miei figli».
Peccato, però, che il collega vicepremier e ministro degli Esteri, Antonio Tajani, abbia espresso un parere del tutto opposto, parlando di elezioni «caratterizzate da pressioni forti, violente» e ricordando l’esclusione dello stesso Navalny dalla corsa elettorale grazie a «un omicidio». «Non c'erano candidati avversari di Putin – ha poi argomentato il leader azzurro -. Abbiamo visto le immagini dei soldati russi entrare dentro i seggi per vedere come votava la gente quindi non mi sembra che sia una elezione che rispetta i criteri che rispettiamo noi».
Un evidente cortocircuito istituzionale su cui Giorgia Meloni, con un occhio ai rapporti interni alla coalizione, per ore non ha speso una parola palesando l’irritazione di Palazzo Chigi, prima di diffondere in serata l’anticipazione di un’intervista ad “Agorà” (in onda domani):«La posizione del governo è molto chiara, il centrodestra è una maggioranza molto coesa», e a dimostrarlo sono «quello che noi abbiamo fatto in questo anno e mezzo con la velocità con cui lo abbiamo fatto, e la chiarezza in politica estera». Le parole del leader del Carroccio hanno anche fornito un assist agli avversari. «Solidarietà al vicepremier e ministro Antonio Tajani, non dev'essere facile avere un omologo vicepremier Salvini - ha ironizzato su X Peppe Provenzano, responsabile Esteri del Pd - che non condanna i crimini di Putin e vede in queste elezioni russe una grande affermazione del popolo. Ma con queste posizioni il governo può mai essere credibile?».
Ma perché Salvini continua su questa linea? L’ipotesi più probabile è che sia convinto del fatto che quell’8-9% di elettorato che i sondaggi ancora gli accreditano sia composto da filo putiniani e, perdendo anche quelli, andrebbe incontro a una fine politica certa. Oppure sta tentando un “controtravaso” dall’elettorato di Fdi, strizzando l’occhio ai sostenitori più duri e magari scontenti del partito della premier. In entrambi i casi è chiaro che l'attenzione del segretario della Lega è ormai quasi del tutto concentrata sul voto per Bruxelles, dove ognuno conta per sé e in cui un risultato migliore delle recenti performance potrebbe mettere a tacere le voci sempre più insistenti di un cambio alla guida del partito.