Analisi. Così il caso Navalny sta scuotendo la politica italiana
Le dichiarazioni di Matteo Salvini sulla morte di Navalny («saranno medici e giudici ad accertare la responsabilità») non fanno che allargare le crepe interne alla maggioranza e rendono ancor più insidioso il percorso di Giorgia Meloni verso il G7. Proprio ieri, il giorno dopo la fiaccolata in memoria del dissidente russo e le uscite del leader leghista, la premier ha ricordato che presiederà il primo incontro sotto la presidenza italiana (sabato, secondo anniversario dell’invasione in Ucraina), confermando un inasprimento delle sanzioni a Mosca e promettendo che il sostegno a Kiev continuerà finché sarà necessario.
Non è difficile immaginare l’imbarazzo nel presentarsi davanti ai leader mondiali con la zavorra di un vicepremier che non riesce ad allontanare da sé lo spettro di un’amicizia scomoda come quella dello “zar”. Senza contare che, sempre ieri, in occasione di un forum a Mosca in cui ha dialogato con una studentessa italiana, lo stesso presidente della Federazione russa (forse in segno di gratitudine nei confronti dei suoi storici sodali italiani) ha ricordato che l'Italia gli «è stata sempre vicina», rievocando l’accoglienza a lui riservata dai nostri concittadini e dicendo di essersi «sentito a casa» durante i suoi viaggi nel Bel Paese.
Una tegola per la premier, da tempo impegnata a costruire una solida immagine atlantista e democratica, che Salvini, però, sembra intenzionato a scalfire a ogni occasione buona. Oggi poi, forse nel tentativo di limitare i danni del suo “capitano”, il vicepresidente leghista, Gian Marco Centinaio, non ha fatto altro che peggiorare le cose, ammettendo sì che la Lega è disposta a condannare quanto avvenuto nel carcere siberiano, ma dichiarando allo stesso tempo di non capire «lo scandalo» seguito alle parole di Salvini, perché allo stato si può solo «ipotizzare».
Al conto va aggiunto anche l’accordo tra Lega e Russia Unita (il partito di Putin), che Salvini non ha ancora smentito pubblicamente e che mette in ulteriore difficoltà Palazzo Chigi. Anche se il braccio destro del leader leghista, Andrea Crippa, continua a dire che «non c’è mai stato nulla», a parte qualche «incontro risalente a sei anni fa». Da parte sua, Fdi prosegue nel sostenere che non ci sono dubbi sulle responsabilità della morte di Navalny e lo stesso, almeno relativamente a quelle «morali», ha fatto anche il ministro degli Esteri Antonio Tajani, chiedendo anche lui di «inasprire le sanzioni». Peraltro, sempre oggi, la Farnesina ha convocato l’ambasciatore russo, chiedendo che sia fatta «piena chiarezza» sul decesso dell’oppositore al regime putiniano.
Non è detto però che la strategia di logoramento interno messa in atto da Salvini non possa alla fine rivelarsi un boomerang, specie in vista delle europee di giugno. Non a caso la Lega rischia di trovarsi da sola nel gruppo identitario di Id, dopo l’arrivo di Orban nei conservatori facilitato da Meloni (che li guida come presidente) e il possibile approdo nella stessa formazione di Marine Le Pen. Questo consacrerebbe l’immagine del Carroccio come partito nazionalista, al pari dell’Afd tedesca, e quindi ai margini dell’establishment continentale (prevedendo una rielezione di Ursula von der Leyen o comunque una sconfitta del fronte sovranista).
Inutile dire che la sparata facilita anche il compito delle opposizioni che hanno ora un argomento ulteriore per attaccare il governo, di cui Salvini resta ministro e vicepremier. Carlo Calenda è il più attivo su questo fronte e pare ora intenzionato a portare in Parlamento la questione dell’accordo con Russia Unita, («voglio vedere cosa dice Meloni»), se necessario anche con una mozione di sfiducia nel caso in cui le spiegazioni non fossero sufficienti.
I nodi verranno al pettine dopo le europee e con un risultato forte, la premier avrà gioco facile a tornare da Salvini per ricordare il peso dei numeri, magari provando a mettere fine una volta per tutte agli altri fornti interni aperti dalla Lega (premierato, terzo mandato, autonomia e via dicendo) e convincendo l’alleato ad abbassare finalmente la testa e smettere i panni di spina nel fianco. Oppure, in alternativa Meloni potrebbe minacciare il voto, stufa di subire ricatti, e magari smascherare finalmente un bluff andato avanti ormai troppo a lungo.