Governo. Salvini: rimpasto o voto. Crisi per ora congelata
«Con gli alleati qualcosa si è rotto, troppi no». Matteo Salvini afferma a sera che il dado è tratto. Il governo Conte non può più essere uguale a quello di questo primo anno, anche se «è stato un anno bello – concede –, proprio oggi pomeriggio (ieri per chi legge, ndr) guardavo i risultati». Ma è tempo di tracciare una riga e di ripartire. Il gran rovello attanaglia Salvini per tutto il giorno. Il vicepremier leghista fa montare tensioni e dubbi. Soprattutto, cosa insolita - ai limiti della privazione -, si stacca per lunghe ore da tutti i social network a lui cari. Fino alla sera, quando tira le somme di un’altra giornata per lui positiva. Prima, alle 7 della sera a Palazzo Chigi, un incontro definito «pacato e cordiale» con il premier Giuseppe Conte, poi il comizio serale a Sabaudia, sul litorale pontino, per dettare e rendere note al pubblico le sue condizioni per una "ripartenza", l’unica via percorribile dopo lo spettacolo di un governo scioltosi sotto gli occhi di tutti durante il voto sulle mozioni Tav: una rivoluzione nel governo, ovvero un maxi-rimpasto con diversi nomi nuovi, e un contratto di governo rivisto e corretto in salsa leghista.
Novità che a Sabaudia conferma: «Cosa accadrà ora? Io non sono fatto per le mezze misure, o è bianco o nero. O le cose si possono fare in fretta oppure star lì a scaldare la poltrona non fa per me. Non m’interessano rimpastini o rimpastoni, le idee non valgono due ministeri in più, e poi la nostra sorte è nelle mani del popolo: sarete voi a decidere». Le risposte sono attese per Ferragosto, forse anche prima: «Dopo la Sicilia domenica saremo a Roma, magari per fare qualche chiacchierata».
Il rovello che ha attanagliato Salvini è stato quello se fosse preferibile mollare gli ormeggi e dare il via alla semi-crisi di un esecutivo che ormai non c’è più oppure continuare ancora a far rosolare i 5 stelle. Nella giornata di gelo massimo fra i due vicepremier, platealmente ignoratisi anche nell’ora passata insieme sui banchi del governo a Palazzo Madama (nemmeno uno sguardo fra i due, separati da tre sedie), l’attesa si è protratta a lungo. Acuita per singole tappe. Sin dal primo annuncio mattutino, quello della disdetta della tappa alle 10 in uno stabilimento di Sabaudia (dove, peraltro, le presenze erano assai scarne): il leader leghista è volato direttamente a Roma (da Arcore, dove martedì sera aveva tenuto un comizio disertando il Cdm), per essere a Palazzo Madama prima di mezzogiorno.
Poi, il lungo silenzio, interrotto solo dall’annuncio dell’annullamento anche della tappa di Anzio alle 17 e di quelle di oggi pomeriggio in Abruzzo (confermata solo quella delle 21 a Pescara). Il pomeriggio Salvini è a casa, con contatti minimi. A sfidarlo sono anche gli avversari di sempre come Matteo Renzi che, in Senato, argomentava che «Salvini non ha coraggio, è un codardo, al contrario di quello che raccontate voi giornalisti. Ma potrebbe chiedere il voto – aggiungeva con una punta di perfidia – perché ha finito i soldi...».
Ci sono tante circostanze da soppesare: la prossima manovra da 30-40 miliardi, la legge sul taglio a 600 dei parlamentari che bloccherebbe per 5 mesi ogni ipotesi di ritorno alle urne. E anche un ulteriore timore che corre sullo sfondo, evocato ancora da Renzi, ieri in gran spolvero nella "Sala Garibaldi" del Senato: quello che, davanti a uno scenario di ritorno alle urne, in Parlamento si possano creare le condizioni per un asse trasversale «fra Pd, M5s e Fi» per virare su un sistema proporzionale puro, togliendo al "Rosatellum" la quota maggioritaria che, al momento, sembra favorire il Carroccio. «E guardate - lo dico da osservatore - a maggio prossimo ci sono anche le nomine da fare...», ammicca l’ex premier ed ex leader Pd.
Le ore corrono febbrili. Filtrano le voci più disparate, a partire ovviamente da un ritorno alle urne a ottobre. Circola anche la notizia (non smentita) di un sms salviniano che qualche leghista avrebbe mostrato: «Non allontanatevi da Roma», il testo. Tutto sembra possibile. A fine pomeriggio, però, è l’ultima arrivata, la ministra della Famiglia Alessandra Locatelli, a gettare acqua sul fuoco: «Ci sono ancora tante cose da fare. Stiamo qui per lavorare». Le prossime ore diranno come.