La storia. Migranti, ecco la nuova rotta del Sahara per chi fugge dal Tigrai
In un centro di accoglienza per profughi in Niger, ad Agadez
Dal campo profughi del Tigrai a quello di Agadez, in Niger, passando per Libia ed Algeria. È l’odissea di un gruppo di rifugiati eritrei in Etiopia fuggiti lo scorso novembre da Adi Harush, una delle quattro strutture dell’Unhcr nella regione settentrionale etiope che ospitavano 96 mila eritrei, finito in mezzo agli scontri tra l’esercito etiope, le truppe alleate eritree e le milizie tigrine. Potrebbe essere l’avanguardia di una nuova ondata di profughi subsahariani verso il Nordafrica in cerca di nuovi sbocchi verso la fortezza Europa.
I rifugiati temevano per la propria vita perché il campo di Adi Harush – appena raggiunto dall’Onu dopo un mesi di isolamento anche questa estate – era stato abbandonato dal personale Onu, evacuato lo scorso autunno quando la regione etiope era stata isolata dal mondo da un blackout comunicativo. Così molti giovani hanno deciso di scappare vagando per circa 700 chilometri nel Tigrai in fiamme prima di riuscire ad attraversare il fiume Tekezè, che delimita il confine con il Sudan, e rifugiarsi ad Hamdayet, campo profughi sempre gestito dall’agenzia Onu.
Ma non è quello l’obiettivo di minori in cerca di futuro come Bereket, 17 anni, fuggito da miseria e oppressione in Eritrea a 10 anni, o a 20enni come Gojtom, Zacharias e Johannes (tutti nomi di fantasia) scappati dal servizio militare a vita che affligge dal 2001 lo Stato caserma asmarino. Così una ventina circa di giovani ha ripreso il viaggio verso la Libia, raggiungendola in gennaio.
«Per il viaggio ci siamo affidati ad Abdallah – spiega Bereket al telefono dalla città nigerina, una delle capitali del contrabbando nel deserto – un trafficante eritreo che da anni opera in Libia. Ci ha portati lì per farci proseguire verso l’Europa». Il viaggio si interrompe a Kufra, oasi hub del traffico di esseri umani dai paesi subsahariani. Qui confluiscono le rotte dell’Africa orientale e occidentale da Sudan e Ciad dirette verso la costa mediterranea. Kufra è anche il capolinea di chi non ha i soldi per proseguire fino al mare. Come loro.
«Abdallah ci ha sequestrati –prosegue Zacharias – e ha chiesto 8mila dollari a testa di riscatto trattandoci come bestie». Il gruppo riesce fortunosamente a fuggire dall’oasi nel Sahara il 16 febbraio scorso, quando le forze di sicurezza libiche con un blitz arrestano Abdallah e cinque complici che tenevano nella casa prigione almeno 150 migranti da Somalia, Eritrea e Sudan.
Abdallah è un pesce piccolo, spiegano gli eritrei, ma è uno dei collaboratori più stretti di uno dei maggiori criminali eritrei attivi in Libia, l’inafferrabile Abusalam, uno dei principali organizzatori di viaggi verso la Libia e il Mediterraneo dal 2015 al 2018, che ha fatto perdere le proprie tracce riparandosi probabilmente a Dubai tre anni orsono. Il cellulare di Abdallah è un’utenza che nel tam tam dei migranti risulta intestata al boss.
Il suo ritorno sulla scena nel traffico di esseri umani sulle rotta est subsahariana significa probabilmente che la tregua dovuta alla pandemia sta per finire e che conflitti come quello che rischia di destabilizzare l’Etiopia e il Corno d’Africa stanno provocando nuovi flussi.
Torniamo al gruppo degli eritrei. Via da Kufra varcano il confine tunisino e arrivano in Algeria, dove è possibile proseguire in barca per la Sardegna. Sei di loro vengono arrestati a luglio. La polizia algerina è inflessibile con gli irregolari, li deporta ad Assammakka, in pieno deserto al confine con il Niger dove li abbandona. I sei rifugiati riescono a raggiungere un centro di transito e ora si trovano ad Agadez nel campo Unhcr. E i loro compagni? «Hanno proseguito per il Marocco – conclude Bereket – sempre in cerca di una via per l’Ue. Forse sono passati in Spagna».
Un altro segnale inquietante arriva dal Sudan, dove don Mosè Zerai ha segnalato che da 40 giorni sette rifugiati eritrei, tra cui 5 ragazze, fuggiti sempre dal Tigrai, sono stati rapiti a Cassala. I rapitori chiedono un riscatto di 3 mila dollari a testa da pagare in Arabia Saudita. I criminali sono nomadi Rashaida, clan beduini del Sahara cui appartenevano i predoni che 10 anni fa sequestravano gli eritrei per venderli ai trafficanti di organi nell’inferno del Sinai.