L'intervista. Unioni civili, Danovi: non parliamo di adozioni
«Attenzione. Stiamo creando un destino nuovo per tanti minori. E, prima di farlo, dobbiamo essere assolutamente certi che questo destino sia positivo. Con la legge Cirinnà stiamo invece precostituendo situazioni che non solo vanno contro le leggi vigenti, a cominciare da quella che regola le adozioni, ma potrebbero pregiudicare i nostri principi fondamentali che hanno alla base il superiore interesse del minore. Ritengo che il tema in gioco meriti una maggiore e più approfondita riflessione».
L’avvocato Anna Galizia Danovi, presidente del Centro per la riforma del diritto di famiglia, non parla a caso. Da decenni si occupa delle leggi che coinvolgono la realtà familiare. Dal suo centro studi hanno avuto per esempio avvio le riflessioni che hanno poi portato a vari provvedimenti sul tema, tra gli altri quelli che riguardano le adozioni e l’affido condiviso.
Avvocato Danovi, quando lei parla della necessità di una maggiore riflessione a quale aspetto del disegno di legge fa riferimento? Vorrei prima fare una premessa. Il problema non sono gli adulti che fanno la loro vita e hanno il diritto di farlo. Non possiamo cioè negare che sia arrivato il momento di una legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso. L’ha indicato la Consulta e anche l’Europa, che ha messo in mora l’Italia per i ritardi su questo punto specifico. Quindi occorre avere ben chiaro questo aspetto: nessuno discute sulla necessità di arrivare ad una legge sulle unioni civili tra persone dello stesso sesso.
E qual è allora il problema? Il problema sono i minori che vanno ad inserirsi nelle esistenze di questi adulti. Il disegno di legge in discussione presenta troppi elementi di problematicità e quindi ribadisco che è necessario un ripensamento. Siamo davvero certi che basti modificare un articolo della legge sulle adozioni per risolvere la situazione? No, anzi. Tutte le riflessioni offerte in modo non ideologico ci dicono che è vero il contrario. Stiamo costruendo in modo fittizio la possibilità di dare un figlio a una coppia di persone dello stesso sesso.
Vuol dire che l’ipotesi della 'stepchild adoption' rischia di soddisfare un bisogno degli adulti, lasciando da parte le esigenze dei minori? Ma certo, se si andrà avanti in questo modo, rischiamo di mettere al primo posto il 'politicamente corretto', nascondendo la realtà del problema che riguarda essenzialmente i minori, con un silenzio connivente.
Cosa dovremmo fare? Per esempio un passo indietro sulle adozioni. Questa parte non c’entra nulla con l’esigenza di assicurare alle coppie delle stesso sesso garanzie dal punto di vista dell’assistenza reciproca, dell’abitazione, del diritto successorio e di tanto altro ancora. Anche se durante il convegno sono emerse tante incongruenze su questi aspetti. Ma non è di questo che voglio parlare. Dico solo che sarebbe il caso di ripensare alla parte sull’adozione.
Ma come regolare quelle situazioni di coppie in cui sono coinvolti dei minori? In modo molto semplice. Quei bambini hanno già dei genitori biologici. Quindi rispettiamo i legami affettivi e non parliamo più di adozione da parte del nuovo partner. Facciamo un esempio concreto. Se una donna, che ha avuto un figlio a seguito di una relazione con un uomo, va a convivere con un’altra donna, continua ad essere madre. E l’uomo da cui la creatura è nata continua a essere padre. Ciò non significa che tra il figlio e la nuova partner della madre non si possano instaurare legami di affetto, anzi questo va rispettato e protetto, senza però creare un nuovo status che vada a intaccare l’identità e le origini del minore.