Clima. Rutelli: «Il negazionismo un prova di irresponsabilità»
Francesco Rutelli
«Il negazionismo climatico è una prova di irresponsabilità totale, perché serve a dare una giustificazione pseudoideologica rispetto a scelte che bisogna fare e bisogna rendere comprensibili e condivisibili alle persone». È molto chiaro Francesco Rutelli, leader storico dei Verdi in Italia, ministro e vicepresidente del consiglio nel governo Prodi II, due volte sindaco di Roma. Ma poi subito aggiunge: «Il negazionismo è un pretesto ma dobbiamo stare attentissimi a non regalare sentimenti popolari di preoccupazione a chi dice “lasciamo tutto come è perché altrimenti diventiamo più poveri”».
E allora Rutelli partiamo dai fatti.
Due giorni fa è uscita una ricerca del World weather attribution, un gruppo internazionale di scienziati indipendenti che analizza il rapporto tra cambiamento climatico e gli eventi estremi.
Quelli che vediamo in questi giorni.
Non solo da noi. La città di Phoenix in Arizona è stata sopra i 43 gradi per più di 20 giorni di fila. In Cina a Xinyang si sono raggiunti i 52 gradi, record nazionale di sempre. Solo a giugno in Canada è bruciata una superficie equivalente all’Austria.
Eppure c’è una parte della politica che continua a negare, una sorta di “no vax” climatici.
Il 98% degli scienziati, non quelli che vengono dalle associazioni ambientaliste, ma designati dall’Onu, convengono in modo inequivocabile sulla ragione umana della crescita delle temperature. Non c’è dubbio che nella storia ci sono stati dei cicli ma quello che oggi sta avvenendo è influenzato dalla immissione di sostanze che intrappolano i raggi solari nell’atmosfera e quindi aumentano la temperatura.
Ma sembra che gli scienziati non bastino. Come convincere?
I due grandi poli della competizione globale, Cina e Usa, hanno deciso di investire cifre enormi nelle nuove opportunità legate alle energie rinnovabili. Nei prossimi 12 mesi la Cina investirà 500 miliardi di dollari in più in queste filiere. Gli Usa nel prossimo anno e mezzo dispiegheranno 1,2 trilioni di dollari di investimenti. Oggi su 100 auto elettriche messe su strada nel Mondo 65 sono in Cina. Un’auto elettrica in Cina la compri con 14mila dollari. In Usa se compri un’auto elettrica ed è prodotta in Nordamerica, ti danno un assegno di 7.500 dollari.
Sono fatti, soldi, non ideologie.
Invece in Europa siamo fermi, stiamo discutendo, col rischio che parte dei cittadini si presti alla narrazione scettica e autoconsolatoria. Perché non prospettiamo benefici, ma mandiamo solo messaggi regolativi.
La scelta ambientale viene vista solo come divieti e non come sviluppo.
Come scrivo nel mio libro “Il secolo verde”, solo presentando alla gente che la rivoluzione verde crea posti di lavoro, vinciamo. Non è una giustificazione dello scetticismo, però dobbiamo stare attenti a creare un divorzio tra il sentimento comune sul cambiamento climatico e la reazione che vede solo che per affrontarlo deve fare sacrifici.
Tranne poi, come in questi giorni, andare a sbattere contro eventi drammatici. Ora anche alcuni negazionisti parlano di mutamenti climatici. Ma c’è sempre bisogno dei drammi per muoverci?
È terribile. Ma non si può allargare le braccia. Ora i risultati dobbiamo portarli a casa. Se lo facciamo solo dicendo “ricordati che devi morire”, la gente ci risponde che in Cina ancora bruciano carbone e hanno superato gli Usa come emissioni, mentre in India il 75% dell’energia elettrica si fa col carbone. E allora perché io devo buttare la mia auto vecchia? È la narrativa che dice “voi ci imponete queste ricette, intanto gli altri continuano a inquinare”.
E invece?
La vera narrativa riguarda i posti di lavoro, le nuove filiere industriali. Mettiamo in rete tante piccole imprese che esistono, per dare buon lavoro. La rivoluzione verde è anche culturale, dobbiamo spiegare alle persone che c’è un vantaggio, non salviamo solo le persone e il Pianeta, ma diamo un contributo alla dinamica delle emissioni e all’assorbimento, scelte fondamentali per la vita, per i nostri figli, ma già oggi nascono prospettive di lavoro, di buona occupazione. È un cambiamento di paradigma.