Berlusconi. Ruini: «Intelligente e generoso, ha meriti storici per l'Italia»
Il porporato ricorda che fu il Cav. a impedire agli ex comunisti di andare al governo nel 1994. «Oggi dirò Messa per lui» Roma Il cardinale Camillo Ruini è stato per quindici anni presidente della Conferenza Episcopale Italiana. Anni coincisi in gran parte con l’apice della carriera politica di Silvio Berlusconi. Di cui ieri, appresa la morte, ha ricordato «la grande intelligenza e generosità» e i «meriti storici per l’Italia». Dicendosi «molto addolorato» per la sua scomparsa. Con la consueta lucidità, il porporato ha parlato brevemente dell’opera di Silvio Berlusconi, centrando però alcuni punti nodali. Specialmente nel periodo del passaggio dalla prima Repubblica alla nuova fase politica inaugurata con la discesa in campo del Cavaliere.
E sottolineando in particolar modo l’azione di Berlusconi per impedire che nel 1994 l’ex Pci (guidato allora da Achille Occhetto) potesse andare al governo. «Sono molto addolorato per la morte di Silvio Berlusconi - ha detto -. Era persona di grande intelligenza e generosità. Ha avuto meriti storici per l’Italia, soprattutto avendo impedito al partito ex comunista di andare al potere nel 1994. E anche per l’instaurazione del bipolarismo. Inoltre - ha aggiunto Ruini - ha operato molto bene in politica estera». Il cardinale non ha nascosto i suoi sentimenti: «Sono stato uno dei suoi amici. Domani (oggi per chi legge) celebrerò la santa Messa per lui, perché il Signore nella sua misericordia lo accolga nella sua eterna pienezza di vita».
Rispondendo poi ad alcune brevi domande di Avvenire, l’ex presidente della Cei, ha ricordato che negli anni in cui presiedeva la Conferenza episcopale, «il rapporto con Berlusconi che era presidente del Consiglio o capo dell’opposizione è sempre stato corretto. Non so se dopo si è deteriorato». E oggi, abbiamo chiesto, la sua eredità politica - il moderatismo centrista - può essere raccolta da qualcuno? «Io mi auguro che venga raccolta, ma sinceramente non saprei indicare da chi». Certo, per Ruini è importante non disperdere quella eredità che ha portato anche Berlusconi a fare di tutto per entrare nella famiglia politica dei Popolari europei. Il tutto in accordo con la duplice preoccupazione che ha sempre guidato l’azione pastorale del cardinale. Il ruolo pubblico della fede, secondo la linea dettata da Giovanni Paolo II al Convegno ecclesiale di Loreto nel 1985 e la promozione di una presenza rilevante dei cattolici nelle forze politiche «che si dimostrino permeabili alle loro istanze», come disse nel 2018 in una intervista al Corriere della Sera.
Allora aggiunse anche di avere l’impressione che oggi i cattolici in politica non contino molto, anche se disse di sperare che la situazione non sia «irreversibile». In fondo è la stessa speranza che emerge dalle parole di ieri. E non è un caso che al centro vi sia il riferimento a quell’anno di svolta per la politica italiana. Pochi mesi dopo la prima volta di Berlusconi a Palazzo Chigi, Ruini lanciava il primo abbozzo del Progetto culturale cristianamente orientato, che avrebbe ricevuto nel 1995 al Congresso ecclesiale di Palermo, l’imprimatur anche da parte di Giovanni Paolo II. Non era solo, come dissero alcuni, una specie di “sostituzione” della fine dell’unità politica dei cattolici, andata in frantumi con la fine della prima Repubblica. La felice intuizione del Progetto culturale in realtà era molto di più. L’espressione di una Chiesa in uscita ante litteram. Che nelle sue diverse componenti (gerarchia e laicato innanzitutto) non aveva paura di dialogare con le espressioni anche più nuove della società. Si chiudeva un’epoca e bisognava andare verso il nuovo. Un po’ come sta succedendo in questo nostro tempo.