Entrate. Ruffini lascia e attacca il governo sull'evasione. Avrà un ruolo politico?
Ruffini
L’ormai prevedibile addio di Ernesto Maria Ruffini all’Agenzia delle Entrate assume i contorni di un caso politico dalle diverse sfaccettature. L’avvocato siciliano, che ha guidato l’ente-chiave nella lotta all’evasione prima dal 2017 al 2018, e poi dal 2020 a oggi, servendo dunque governi di diversa natura, se ne va sbattendo la porta, al netto del carattere notoriamente schivo e riservato.
Cosa è successo prima dell'addio
La storia e la cultura di Ernesto Maria Ruffini non sono un mistero. Avvocato e manager pubblico, siciliano, 55 anni, di formazione cattolico-democratica, ha dato alle stampe anche una sorta di libro-manifesto, Uguali per Costituzione, con prefazione del capo dello Stato Sergio Mattarella. Gli incarichi istituzionali svolti – stando alla storia recente - con i premier Renzi, Conte, Draghi e Meloni (e i rispettivi ministri dell’Economia) ne avevano disegnato il profilo di un manager che svolge il suo compito mantenendo un rapporto di leale collaborazione, forte anche di risultati riconosciuti in modo abbastanza trasversale. Ma con l’esecutivo di centrodestra, con Palazzo Chigi e con il Tesoro di Giorgetti qualcosa si è rotto nelle ultime settimane. La presenza di Ruffini in convegni politico-culturali sia “laici” sia “cattolici” ha alimentato nell’opinione pubblica l’idea che l’avvocato siciliano potrebbe essere il nome giusto per varie missioni, alcune incompatibili tra loro: riorganizzare un centro, dare forza a un centro del centrosinistra, diventare l’atteso “federatore” del campo largo. Un dibattito che ha portato i quotidiani conservatori italiani ad attaccare frontalmente Ruffini, indicandolo come responsabile della vessazione fiscale degli italiani e, soprattutto, come personaggio che costruisce da dentro le istituzioni un profilo politico che vuole contrastare Giorgia Meloni.
L’addio e l'accusa: combattere l'evasione «non è una colpa»
A mettere (temporaneamente) fine allo stillicidio è stato lo stesso Ruffini con un’intervista pubblicata stamattina dal Corriere della sera, in cui comunica che già mercoledì ha riferito al ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti di voler lasciare l’Agenzia delle Entrate. E sin qui il “quasi ovvio”. Ma è ciò che segue che impatta sul dibattito che verrà nei prossimi giorni, e che si incrocia inevitabilmente con una manovra che, come da tradizione, ha la sua bella dose di condoni più o meno espliciti. Da quando è stato dato più peso alla sua esposizione culturale, da quando si parla di un suo impegno in politica, spiega Ruffini, «ho letto che parlare di bene comune sarebbe una scelta di campo. E che dunque dovrei tacere oppure lasciare l’incarico. Quello che è accaduto in questi giorni intorno al mio nome descrive un contesto cambiato rispetto a quando ho assunto questo incarico e anche rispetto a quando ho accettato di rimanere. Ne traggo le conseguenze». Se ne va, anche perché «è stata fatta una descrizione caricaturale del ruolo di Direttore dell’Agenzia, come se combattere l’evasione fosse una scelta di parte e addirittura qualcosa di cui vergognarsi. Se le cose stanno così, mi sono detto, che senso ha rimanere?». Infine l’assalto all’esecutivo: «Non mi era mai capitato di vedere pubblici funzionari essere additati come estorsori di un pizzo di Stato. Oppure di sentir dire che l’Agenzia delle Entrate tiene in ostaggio le famiglie, come fosse un sequestratore. Ho taciuto sinora, per senso dello Stato. Attenzione però: se il fisco in sé è demonizzato, si colpisce il cuore dello Stato; tanto più che il livello della tassazione lo decide il legislatore, non l’Agenzia. Personalmente ho sempre pensato che a danneggiare i cittadini onesti siano gli evasori». Un’accusa esplicita al centrodestra di capovolgere la scala dei valori, alla luce degli attacchi che Ruffini ha ricevuto da alcuni quotidiani nei giorni scorsi ma anche alla luce delle affermazioni fatte da Meloni in comizi elettorali dei mesi scorsi, che evidentemente Ruffini non ha dimenticato.
La politica: parlo di bene comune ma non scendo in campo
L’intervista cerca di fare chiarezza anche su un eventuale ruolo di Ruffini in politico. «Scendo, ma non in campo – dice il manager -. Scendo e basta. Torno a fare l’avvocato, che è una bellissima professione. Rimango con le mie idee e i miei ideali. E difendo il diritto e la libertà di parlare di bene comune e senso civico. Per me oltre che un diritto è un dovere di tutti». Circa l’impegno diretto, «avevo già smentito dopo i primi articoli di stampa. Lo ripeto. Non condivido il chiacchiericcio che scambia la politica per un gioco di società, le idee per etichette ed il senso civico per una scalata di potere. Non scendo e non salgo da nessuna parte». E anche la partecipazione ai convegni sociopolitici, dice, viene da lontano. « Il bene comune non è di parte», rivendica. Allontanando, o meglio incorniciando in maniera diversa, anche il dibattito sul “federatore” del centrosinistra: «Fatico a pensare che per cambiare le cose bastino i singoli. Affidarsi a sedicenti salvatori della Patria non è un buon affare. Dovremmo smetterla di considerare la politica come una partita a scacchi o un gioco di potere, perché dovrebbe essere un percorso fatto di discussioni, grandi ideali, progetti, coinvolgimento. Non un talent show culinario per selezionare uno chef in grado di mescolare un po’ di ingredienti, nella speranza che il piatto finale sia buono. Altrimenti si alimenta il distacco dei cittadini dalla politica. E si costruisce un futuro peggiore».
Evasione, bipolarismo e “centro”: ora il dibattito si scalda
Facile immaginare come si svilupperà il dibattito successivo all’addio di Ruffini alle Entrate. Il centrodestra proverà a disegnare il volto di un manager “furbo”, che faceva politica stando dentro l’Agenzia, e che voleva portare avanti una logica “vessatoria” verso cittadini e imprese (anche se i risultati anti-evasione sono spesso stati rivendicati dal viceministro all’Economia Leo, di Fratelli d’Italia). Il centrosinistra, invece, utilizzerà le parole di Ruffini dentro il contesto della manovra, per evidenziare come un manager di comprovato lavoro ritenga l’esecutivo più sensibile agli evasori che ai cittadini che pagano lealmente le tasse. Ma è chiaro che la questione politica attira di più. Da escludere l’ipotesi che Ruffini possa costruire un centro autonomo da destra e sinistra -non sembrerebbe essere nelle sue corde, almeno a ricostruirne il profilo -, l’avvocato viene inserito sia tra coloro che potrebbero rafforzare la componente di centro all’interno del “campo largo”, provando a rinverdire la stagione del popolarismo. E, con i galloni del cattolicesimo-democratico, provare a costruire una coperta sufficientemente lunga per coprire l’intero centrosinistra, nel ruolo di “federatore”, modello-Prodi. Ma la stagione è radicalmente diversa, e il primo a esserne consapevole sembra essere proprio Ruffini, che vede con i suoi occhi la litigiosità del fronte progressista che cresce a dismisura quando solo si accenna a future leadership. Quel che è certo, è che il suo passo d’uscita dalle Entrate torna utile al centrosinistra, ed è un attacco diretto alle politiche fiscale delle destre.
La vivacità del mondo cattolico in questa fase
Anche se la storia di Ruffini è quella di un manager pubblico, con chiara formazione culturale e politica, che però fa la sua strada dentro le istituzioni, è difficile non collegare quanto accaduto alla vivacità del mondo cattolico in questa fase, vivacità che ha visto un moltiplicatore durante la Settimana sociale di Trieste dello scorso luglio. L’importanza dell’impegno politico dei credenti è stata ribadita con chiarezza, e rilanciata nella prospettiva della crisi della democrazia e della partecipazione. Tra i frutti di Trieste, anche la nascita, a latere e in autonomia rispetto al lavoro del Comitato delle Settimane sociali, della rete degli amministratori locali di ispirazione cristiana, in cui confluiscono persone e gruppi di diverso orientamento. Cattolici impegnati nei partiti dei due poli, o in reti civiche, o in movimenti che ambiscono a ricostruire un centro, ma che comunque hanno deciso, da Trieste, di coordinarsi di più, di uscire dalle gabbie di polarizzazioni forzate. L’obiettivo, ha spiegato Francesco Russo, ex senatore e animatore dell’iniziativa, è arrivare ad una «costituente degli amministratori locali». Tra fine gennaio e inizio febbraio è previsto un incontro nazionale, proprio domani invece si svolgerà il terzo incontro preparatorio a Milano, che segue quelli di Roma e Napoli delle scorse settimane. La vicenda-Ruffini cade dunque in una fase in cui molti pezzi del mondo cattolico si interrogano sul contributo che possono dare in questo momento di affanno della politica e delle istituzioni democratiche.