Sull’opportunità che una commissione parlamentare indaghi sulle modalità di applicazione della Ru486 nel nostro Paese si incentra il dibattito politico nato dopo l’approvazione da parte dell’Agenzia italiana del farmaco (Aifa) della pillola abortiva. A fare rumore sono le giustificazioni del presidente dell’Aifa Sergio Pecorelli che, per spiegare la decisione dell’Agenzia, fornisce informazioni allarmanti sull’attuale impiego della Ru486. E nonostante gli inviti ai parlamentari a non occuparsi di «un farmaco», le contraddizioni delle scelte «tecniche » sono apparse evidenti a diversi osservatori, politici e non. In un’intervista apparsa domenica sul Corriere della Sera il presidente Pecorelli si schiera a fianco del presidente della Camera Gianfranco Fini nel ritenere inutile una commissione parlamentare sulla Ru486: serve «solo se si vuole cambiare la legge 194». Pecorelli tende a presentare l’attività dell’Aifa nell’approvazione della Ru486 quasi come quella di un notaio alle prese con un atto dovuto dalla procedura europea e disegna scenari di grande pericolo che si correrebbero attualmente con l’uso poco controllato della Ru486 da parte degli ospedali che la importano. Su Repubblica è l’oncologo Umberto Veronesi a definire una «metodica meno traumatica» per le donne l’adozione della pillola abortiva per interrompere la gravidanza. Contesta entrambi il deputato udc Luca Volontè: «La cocciuta e palese superficialità del presidente dell’Aifa è grave almeno quanto la ignorante malafede di Umberto Veronesi. Sulla “kill pill”, sulla Ru486, c’è colpevole disinformazione e semplicioneria ideologica ». Una posizione che vede d’accordo il ginecologo Severino Antinori (più noto per la sua attività nella fecondazione assistita): «Il presidente dell’Aifa, Sergio Pecorelli, si contraddice. Prima parla di farmaco sicuro e poi di percorso tortuoso, psicologicamente difficile da sopportare. Non ha specificato le conseguenze, dovrebbe dimettersi». Quanto a Veronesi «prende una cantonata», commenta Antinori: con la pillola abortiva ci sono «più dolore, più infezioni, più sofferenza psicologica, più infertilità e aumento della mortalità ». «In Francia e in altri Paesi avanzati – conclude – rispetto all’introduzione si è registrato un calo nell’assunzione del farmaco, chiaro segno che la pillola non è poco traumatica ». Insiste Luca Volontè: «Un’indagine conoscitiva è già stata fatta alla Camera la scorsa legislatura. Nulla impedisce al Senato di attivare un’altra indagine conoscitiva, utile visti i nuovi casi di morte». E si potrebbe aggiungere utile viste le parole del presidente dell’Aifa, che ha denunciato aborti con la Ru486 avvenuti «in un autogrill » o comunque «lontano dal presidio ospedaliero», indicando nella «importazione parallela, un fenomeno in costante lievitazione». Un dato che sembra in contrasto con quanto emerso dall’ultima Relazione al Parlamento sull’attuazione della 194, e che richiederebbe quindi adeguata documentazione da parte dell’Aifa o delle Regioni. Infatti la Relazione ministeriale rileva che se nel 2005 erano state solo 132 le interruzioni di gravidanza con la Ru486 (erano iniziate la sperimentazione al S. Anna di Torino e l’importazione diretta a Pontedera), nel 2006 sono state 1.151, scese poi nel 2007 a 1.010. Così come curioso sembra che il presidente Pecorelli paventi – in caso di mancata approvazione dell’Aifa – il ricorso all’arbitrato europeo da parte della Exelgyn, dando per scontato che l’Italia dovesse soccombere: in realtà le autorità dei singoli Stati, in caso di procedure per mutuo riconoscimento (come è il caso della Ru486, introdotta a partire dalla Francia), hanno una libertà di manovra di adattare l’autorizzazione al diritto nazionale o negarla, che è invece assente nel caso in cui il farmaco sia stato approvato con la procedura centralizzata presso l’Emea (l’ente europeo sui farmaci). Caso mai, come ha rilevato domenica sul Sole-24 Ore il sottosegretario Eugenia Roccella, ora è la legge italiana che rischia di essere svuotata dalla pratica dell’aborto farmacologico, come accaduto in Francia, dove «si è cambiata la legge adeguandola alla nuova prassi».