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Coronavirus. Nuovi focolai nelle Rsa. «Strutture pronte ad alzare la guardia»

Paolo Viana giovedì 15 ottobre 2020

Trasferimento di alcuni degli ospiti di una Rsa

Torna l’incubo per le Rsa. Il virus ricomincia a circolare anche nelle strutture per anziani e si temono altre stragi come quella del “Pio Albergo Trivulzio” di Milano nella prima ondata dell’epidemia. Le Case di riposo si blindano: visite vietate o ridotte e giri più frequenti di tamponi a degenti e personale. I gestori chiedono test rapidi per poter isolare tempestivamente gli infetti e procedere a tracciamenti e sanificazioni. Fondamentale rimane dunque la prevenzione. Ma i focolai intanto si moltiplicano. E non solo nelle Rsa. Nel centro sociale “Padre Francesco Pianzola” di Mortara (Pavia) 5 suore sono state uccise dal coronavirus e altre 50 sono risultate positive al tampone: «Non c’è stato alcun campanello di allarme – spiega il direttore della struttura, Mara Azzi – fino a quando non si sono manifestati i sintomi contemporaneamente in più persone ». A Portici (Napoli), dopo una festa organizzata dalla Rsa e aperta all’esterno, è scoppiato un cluster che ha coinvolto circa 60 tra ospiti e operatori. A Napoli città sono 50 i casi all’interno dell’istituto “Povere Figlie della Visitazione di Maria”. Anche in Toscana le Rsa sono state duramente colpite negli ultimi giorni: 4 morti a Greve in Chianti, 35 contagi nella residenza “Le magnolie” dell’Isolotto a Firenze, e 77 casi emersi alla “San Giuseppe” di Sesto Fiorentino. Il governatore Eugenio Giani ha disposto che da questo weekend non saranno più consentite le visite dirette nelle Rsa ma solo le videochiamate. Anche la Puglia è sono sotto osservazione: all’“Oasi Santa Fara” di Bari i contagi sono 35 ma lo scenario più preoccupante è ad Alberobello dopo che nella “Giovanni XXIII” (60 anziani e 20 dipendenti) sono stati diagnosticati 71 positivi e il sindaco Michele Longo ha fatto chiudere scuole e uffici per controlli e sanificazioni. A Campofilone, nell’Ascolano, 20 ospiti della Rsa risultano infettati mentre al “Don Orione” di Avezzano (L’Aquila) i positivi sono 70. Situazione critica anche in Emilia Romagna con 45 casi in provincia di Modena e 16 nel Ferrarese, e la conseguente sospensione delle visite dei parenti.“Sos” contagi anche nelle Rsa del Piacentino. In Val d’Aosta niente visite anche in hospice e strutture per lungodegenti. (F.Ful.)

Sono cinque milioni in Italia. Lavorano gratis e non perché non abbiano un’occupazione. La pandemia sociale li lambisce, a volte investe anche loro, ma i volontari restano in trincea, a reggere il settore sociosanitario che, senza la loro collaborazione a medici, educatori e collaboratori professionali delle strutture associate, non ce la farebbe. Comunità per disabili, strutture per la lotta alle dipendenze e poi tante Rsa: sono oltre mille le realtà associate all’Unione nazionale delle istituzioni e iniziative di assistenza sociale (Uneba), quasi tutte Onlus, spesso ubicate al Nord, ma non solo. Questo Terzo settore dedicherà un convegno sulle sfide post Covid-19 proprio ai 'custodi della fragilità', domani e sabato a Padova, che quest’anno è la Capitale europea del volontariato. Non solo un momento di riflessione, ma anche una tribuna da cui il presidente di Uneba, Franco Massi chiamerà il settore alla mobilitazione .«Dobbiamo alzare la guardia e quindi nel rispetto delle disposizioni del-l’Iss e delle Regioni abbiamo invitato le direzioni sanitarie delle nostre strutture alla massima prudenza ». Massi lancerà precise richieste al governo, in vista dell’adozione dei provvedimenti sul Recovery fund: «Chiediamo che il settore socioassistenziale – dichiara nell’intervista – sia inserito nella riorganizzazione del sistema sanitario italiano, cui sta lavorando il governo. Questa non è una semplice richiesta, ma, alla luce del contributo che abbiamo dato e stiamo dando all’emergenza coronavirus, è una pretesa».

Come si presenta l’Italia postemergenza dal punto di vista dei volontari?
Si presenta come un territorio in cui la povertà è aumentata, anche se è sempre più sommersa e genera solitudini, anch’esse nascoste. I volontari sono le antenne che riescono a cogliere i segnali provenienti da questo mondo sofferente.

Qual è stato il loro ruolo durante il lockdown?
Un ruolo importante e silenzioso. Anche quando non potevano più entrare fisicamente nelle strutture assistenziali, non hanno smobilitato, ma hanno fornito il loro apporto collaborando all’emergenza – ad esempio recapitando i pasti caldi a domicilio – e attivandosi per fronteggiare l’ondata di solitudine che ha colpito gli anziani.

L’emergenza coronavirus, però, ha provocato anche delle tensioni nel terzo settore. Quante Rsa sono andate in crisi
Almeno la metà delle strutture socioassistenziali, ed alcune si sono ritrovate in condizioni difficili. Tuttavia, se accantoniamo per un istante le dicerie, propalate anche da certa stampa, e guardiamo i numeri, vediamo che i decessi per Covid-19 nelle Rsa sono avvenuti un mese dopo l’esplosione dell’emergenza, quindi è improprio accusarle di aver 'diffuso' un virus che in realtà altri hanno portato dentro queste strutture. Ricordo inoltre che chi ha contratto il morbo e ne è morto, nelle Rsa ha ricevuto cure e conforto, diversamente da quanto purtroppo è avvenuto altrove, visto che molti decessi sono avvenuti nelle abitazioni e in reparti ospedalieri creati – necessariamente – in condizioni di emergenza.

Come evitare che tutto ciò si ripeta? I nuovi focolai non mancano...
Chiediamo al governo un con- fronto sul nostro ruolo e sul nostro contributo al Sistema Sanitario Nazionale. Abbiamo la p-re- t-e-s-a, proprio così, la pretesa di entrare nel Ssn con le strutture che forniscono anche un servizio sanitario e che hanno contribuito e contribuiranno alla gestione di queste crisi. Non dimentichiamo che negli ospedali italiani ci sono 215mila posti letto per acuti e 30mila di riabilitazione ma che le Rsa contribuiscono al servizio sanitario con ben 285mila posti letto, oltre ai 40mila delle strutture al servizio della disabilità. Non si può continuare a non vedere questi numeri e quello che significano.

Teme che invece possa avvenire?
C’è il rischio che si continui a negare un ruolo nel Ssn e si escluda questo settore dalla riorganizzazione in corso tra Mes e Recovery fund. Bisogna considerare anche il Terzo settore negli investimenti che stanno per partire e nella riorganizzazione del servizio, anche a livello territoriale. Molto si parla di assistenza domiciliare e noi ci siamo, anche se non è la panacea, ma sicuramente non sempre può essere assicurata dalle badanti.

Quanti soldi pubblici prendete oggi?
Oggi il settore sociosanitario che rappresentiamo assorbe il 15% del fondo sanitario nazionale, per una cifra che si aggira intorno ai 19 miliardi. Sono contributi erogati alle strutture in base al servizio che erogano, quindi anche e soprattutto in base al numero degli assistiti e delle prestazioni, mentre le spese alberghiere sono sostenute dalle famiglie e, per gli indigenti, dagli enti locali. Non parliamo di un regalo, ma di vera sussidiarietà, quella scolpita nell’articolo 118 della Costituzione.