La richiesta. Uneba: «Rsa, lo Stato dica chi paga per i malati di Alzheimer»
Le Rsa rischiano il dissesto finanziario perché lo Stato smentisce le proprie leggi. Il terreno di scontro è l’assistenza al malato di Alzheimer. Da quando la Corte di Cassazione ha giudicato che le cure ad un ospite che soffra di questa patologia debbono essere gratuite, il mondo delle residenze per anziani convenzionate con le Regioni è in subbuglio. Migliaia di famiglie potrebbero ora rivolgersi al giudice per ricevere indietro i soldi spesi per ricoverare il proprio parente.
Uneba, che rappresenta le Rsa italiane, ha scritto ai ministri della Salute, Orazio Schillaci, per la Disabilità, Alessandra Locatelli, delle Finanze, Giancarlo Giorgetti, della Giustizia, Carlo Nordio; oltre al presidente della Conferenza Stato Regioni, Massimiliano Fedriga, e ai presidenti delle Regioni e agli assessori competenti in materia di sanità o sociale. La lettera sviscera il problema che l’avvocato milanese Alberto Fedeli illustra così: «Al tempo della semplificazione, è facile tagliar corto e dire che le Rsa si sono intascate i soldi delle famiglie dei malati di Alzheimer e che adesso dovranno rifonderle. Ma la realtà è un’altra: è la legge e sono i Livelli essenziali di assistenza che fissano un sistema di compartecipazione dei costi al 50% tra utente e Servizio sanitario nazionale per i servizi sociosanitari per anziani non autosufficienti in lungoassistenza, e il rispetto di tale normativa è una delle condizioni che permettono l’accreditamento delle strutture».
Il problema sorge quanto un anziano entra in Rsa senza una diagnosi di Alzheimer ma la riceve durante il ricovero. In tal caso, secondo la Cassazione, la legge prevede che tutte le cure gli siano erogate gratuitamente dal Servizio sanitario nazionale e per questa ragione i giudici stanno condannando le Rsa a restituire le rette percepite negli anni scorsi. In realtà, fa notare Fedeli, a pagare per quello che è un equivoco interpretativo dell’attuale normativa non è il Ssn ma saranno degli enti privati accreditati, che in condizioni di sofferenza finanziaria potranno solo decidere di non assistere più anziani con sintomi di Alzheimer se non interviene la copertura del Servizio sanitario nazionale, e quindi delle Regioni. Anche per questa tipologia di malati la normativa dei Livelli essenziali di assistenza prevede che il Ssn eroghi solo il 50% dei costo, che è coperto di norma con la tariffa più alta ma pur sempre limitata al 50%. Secondo la Cassazione il servizio che ricevono gli ospiti è soprattutto sanitario e ciò ne giustificherebbe la gratuità. Ma le conseguenze negative gravano paradossalmente non su chi per legge è tenuto a garantire la gratuità del servizio sanitari, cioè il Servizio sanitario nazionale, e quindi le Regioni, ma sugli enti privati erogatori, che, per effetto delle recenti sentenze, sono condannati alla restituzione delle rette di compartecipazione legittimamente percepite. Del resto, se il giudice guardasse “dentro” la legge non potrebbe non riscontrarne le incongruenze. Il problema sussiste ma non può essere risolto per via giudiziaria ma politico-legislativa.
È quello che sostiene il presidente di Uneba, Franco Massi, che ieri ha tirato il governo per la giacca, chiedendo se la retta di un malato di Alzheimer in una Rsa sia interamente a carico della Regione, o la persona assistita debba pagare una parte. «Uneba sul tema chiede chiarezza ed un rapido intervento del legislatore. Chiediamo di provvedere a fare chiarezza sulla titolarità degli oneri relativi ai costi di degenza per l’assistenza ai malati di Alzheimer», scrive Massi.
Ogni Regione ha le sue regole, diverse da quelle delle altre Regioni, sui requisiti delle strutture per anziani fragili, quanto personale ci deve lavorare, quanto paga la Regione per ciascun anziano accolto, quanto deve pagare ciascun ospite o chi lo rappresenta. Con un evidente aumento della complessità per chi opera nel settore. Le Rsa seguono la normativa regionale e - sottolineano in Uneba - non hanno nessun margine di decisione.
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