Passata l’ondata mediatica dei mesi passati, che aveva portato la favela di San Ferdinando e Rosarno in prima pagina, baracche, tende, container e invisibili sono tornati a sopravvivere lontano dai riflettori. Al loro fianco, un giorno dopo l’altro, solo la diocesi di Oppido Mamertina-Palmi, la Caritas, le parrocchie e una serie di sigle del volontariato laico. Le istituzioni locali hanno cercato di fare la loro parte, anzitutto nella gestione delle strutture più o meno adeguate che accolgono i braccianti impegnati in vari lavori agricoli per 25-30 euro al giorno, spesso in nero. Sono più d’un migliaio, con numeri in progressivo calo perché la stagione agrumicola, già difficile, è agli sgoccioli e quindi gli immigrati, in maggioranza africani, si spostano altrove. Ma molti rimangono nei centri della Piana di Gioia Tauro, che è un po’ tutta coinvolta dall’emergenza. Tant’è che ieri mattina se n’è parlato in una riunione nella prefettura di Reggio Calabria, e alla quale hanno partecipato, oltre al prefetto Vittorio Piscitelli e al rappresentante della diocesi di Oppido-Palmi, don Pino Demasi, il sindaco di san Ferdinando, il vice sindaco di Rosarno, il presidente della Provincia, il commissario della polizia di Gioia. Il tavolo ha affrontato le difficoltà economiche della diocesi a continuare a pagare l’energia elettrica della seconda tendopoli creata accanto alla prima poiché il numero degli ospiti era cresciuto a dismisura, creando condizioni di vivibilità non più sopportabili. La curia ha gestito 40mila euro, 30mila messi a disposizione dalla Caritas nazionale e 10 dalle casse diocesane. Sono serviti a coprire tutte le spese sinora, e don Pino Demasi ha chiarito l’impegno di continuare a farlo sino al 30 aprile (la Provincia farà lo stesso con la prima tendopoli) dopodiché o arriveranno fondi ulteriori o non sarà più possibile pagare i costi. Comunque, è stato ribadito per la prossima stagione agrumicola, non ci saranno più tendopoli né altre forme di accoglienza simili. Ci sarà il campo coi container e dovrebbe essere pronto un centro a Rosarno che potrà accogliere un centinaio di persone. Ma don Demasi ha un’idea che non abbandona: distribuire gli immigrati nei vari centri della piana, trovando in ciascuno una sistemazione o delle sistemazioni idonee, magari con l’aiuto dei Comuni. A quel punto bisognerebbe risolvere solo il problema dei trasporti, con un mezzo che in mattinata e alla sera porti i braccianti sui campi di lavoro e a casa. «Bisogna parlare di inclusione sociale, di lavoro vero e abitazioni decenti. Così non potranno più essere invisibili né scivolare su strade non positive, a cominciare dal lavoro nero», ha spiegato don Demasi. Nelle tendopoli lavora da tempo anche un’equipe sanitaria di Emergency, con un pullman che accoglie due piccoli ambulatori: si chiamano polibus. Prima dell’estate ne creeranno uno stabile a Polistena, ma che sarà a disposizione di tutti, a cominciare dai fratelli immigrati sui quali accese i riflettori il vescovo di Oppido Franco Milito durante l’avvento 2012, quando chiese a tutti i fedeli di dare almeno una coperte per proteggere dal freddo questi fratelli venuti da lontano.