Attualità

Caporalato. Il vescovo: «Rompere questo meccanismo perverso»

Antonio Maria Mira venerdì 20 luglio 2018

Il vescovo Piazza visita le famiglie dei braccianti bulgari

«Ci vuole un intervento determinato contro lo sfruttamento lavorativo. È un problema di dignità umana». È l’appello del vescovo di Sessa Aurunca, Orazio Francesco Piazza. «Grida giustizia di fronte a Dio in particolare la condizione di queste donne che vivono uno sfruttamento totale. Lavorano sottopagate, buttando il sangue tutto il giorno, e alla sera si devono occupare della famiglia». Una condizione che il vescovo ha toccato con mano nel corso della recente visita pastorale alla parrocchia di San Rufino, nel corso della quale è entrato nei palazzi Cirio per incontrare le famiglie bulgare.

«Non facciamo uscire dal degrado queste persone – sottolinea – se non diamo loro la possibilità di affittarsi una casa. Se lavorano secondo le regole potranno avere una vita degna. Lo sfruttamento invece significa che questa gente sarà solo stipata come animali. E questo conviene a chi ci lucra. Bisogna interrompere questo meccanismo per consentire a queste persone di vivere del proprio lavoro e con la dignità che compete al loro lavoro, di potersi costruire un futuro».

Dunque, avverte, «non si deve solo pensare alla repressione, il mandar via non ha senso. Bisogna invece rompere questo meccanismo perverso, creare condizioni di minima dignità, mettere insieme tutte le istituzioni per creare condizioni di vivibilità, di normalità coi bambini che vanno a scuola, gli uomini che lavorano e le donne che fanno le mamme e se vogliono lavorare non siano sfruttate in quel modo». In questo la Chiesa non si tira indietro e già si è mossa.

«Noi offriamo gli spazi affinché questa dignità possa essere riconquistata. Le porte della nostra mensa e della nostra chiesa sono sempre aperte. Ma è ovvio che da soli non possiamo farcela. Ognuno deve farlo per le competenze che ha, tutte insieme le istituzioni». Servono, perciò, secondo il vescovo, interventi sul lavoro e sulla casa. «Ricomporre la normalità abitativa significa rimettere le persone in una situazione dignitosa che permette poi un discorso diverso. Lì sono condizioni disumane di vita. Quindi l’attenzione alla dimensione abitativa è condizione primaria, fondamentale. E tutti gli organismi che sono preposti a questo recupero devono operare per questa normalizzazione».

Altrimenti c’è il rischio di «una bomba sociale. Nella mentalità comune, nel malcontento comune, vedendo queste situazioni di degrado, i cittadini pensano che qui sono venuti i peggiori. Comincia così una sorta di selettività sociale che li emargina ancora di più. Mentre sono venuti solo per lavorare». Bisogna, insiste Piazza, «aumentare la nostra presenza in modo piano piano di inserirli nel nostro tessuto sociale». Per questo, ci ripete «non vedo una via repressiva ma un’azione della comunità per creare le condizioni di contatto anche attraverso l’assistenza sociale». Partendo, denuncia, «dall’anomalia che ho più volte segnalato alle istituzioni e in particolare alla scuola, quella delle donne che vanno al lavoro e dei figli allo sbando. Chi si occupa di loro? Dobbiamo riuscire a trovare un contatto con queste donne perché possono essere l’ago della bilancia».