Attualità

ETICA E SOCIETÀ. Libertà religiosa, Roma fa scuola

Giovanni Ruggiero venerdì 17 giugno 2011
Naturalmente Roma, perché Roma è naturaliter cristiana. Non occorre cercare altrove, e lontano, un humus in cui sviluppare i semi della libertà religiosa. Roma: per infiniti motivi. Perché tale libertà non è soltanto una statuizione astratta o una mera normativa. La libertà religiosa intercetta – è quanto emerge da un ampio dibattito promosso ieri in Campidoglio – la bellezza e la carità, lo studio e la preghiera, la dimensione individuale e l’apertura sociale. Due associazioni ("Identità e Confronti" e "Etica e Democrazia") che hanno favorito la discussione, a indicare che la libertà religiosa è uno snodo in cui si intersecano teologia e antropologia, biodiritto e biopolitica, citano la Deus Caritas est, perché, sostengono, la giustizia non può rinunciare alla carità, e la solidarietà umana necessità di un riferimento trascendente che riconosca Dio come fine e fondamento dell’agire umano. Dopo il saluto del sindaco Gianni Alemanno – che spiega come neppure i fenomeni della globalizzazione, che Roma continua a vivere, hanno scardinato la sua natura di capitale anche della libertà religiosa – è Domenico Delle Foglie, presidente Copercom, a definire Roma naturaliter cristiana e, proprio per questo, Capitale della libertà religiosa: «Una Roma – dice – che non è una espressione geografica. È uno spazio fisico, un territorio baciato dalla Provvidenza nel quale la libertà religiosa vive ancora oggi la più importante espressione storica». Roma più di altre città italiane, come Milano ad esempio, soggette a forti tensioni per tema di questa libertà difficile da coniugare.È qui che San Pietro ha fondato il Cristianesimo che da qui si è poi diffuso nel mondo. Un San Pietro «immigrato», azzarda monsignor Giovanni D’Ercole, vescovo vicario all’Aquila, che infatti a Roma, già capitale di un impero, «trova un luogo in cui ognuno potesse sentirsi a casa propria e poco importava da dove giungesse, di che razza fosse o quale fede professasse.» Qui la Chiesa comincia a farsi servizio, perché – spiega monsignor D’Ercole – l’Apostolo inizia a proclamare il Vangelo del servizio. «Roma – aggiunge – ha il dovere di conservare questo spirito cristiano di servizio, altrimenti perde la sua specificità di accoglienza e la capacità di dialogo».L’accoglienza è l’anticamera della libertà religiosa, e Roma ha accolto tante culture e tante fedi; in particolare è qui la più grande comunità islamica ed è qui la sinagoga più antica: «Da un lato – spiega Paola Binetti, parlamentare e presidente dell’associazione "Etica e Democrazia" – è essenziale avere il cuore e la testa aperti ad accogliere tutte le culture che si richiamano a fedi teocentriche. Cercare le condizioni del dialogo è possibile se siamo capaci di proporre la nostra dimensione spirituale come stile di comportamento.»Le voci in questo incontro sono tante. Tre tavole rotonde affrontano tutte le coordinate della libertà religiosa. Una di queste, in particolare, si è soffermata sulla creatività e la generosità con cui i cristiani si sono sempre impegnati nel sociale. Tra i tanti intervenuti, monsignor Enzo Leuzzi, cappellano di Montecitorio e responsabile della Pastorale universitaria della diocesi di Roma; Giancarlo Elena, presidente dell’Associazione "Identità e confronti" e padre Giovanni La Manna, direttore del Centro Astalli.La centralità dei cristiani nel dibattito è presto spiegata dal direttore di Asia News, padre Bernardo Cervellera: «I cristiani hanno un parola forte da dire nel dibattito sulla libertà religiosa, perché sono i più perseguitati nel mondo. È infatti Benedetto XVI che invoca questa libertà sfidando tutte le religioni quando le esorta alla non violenza, specie quella parte dell’Islam più intransigente. E sta sfidando la mentalità occidentale, perché è su questa libertà che si coniugano tutte le altre libertà. Se manca la prima, saranno soffocati tutti gli altri diritti, e si va verso la guerra». Fa un solo esempio, quello di un Paese dove la virtù della libertà religiosa non è praticata: la Cina, luogo in cui le tensioni sociali ogni anno si contano a decine e decine di migliaia.