Testimone. Sami Modiano: «Espulso da scuola e deportato, sono diverso da voi ragazzi?»
Roma, Sami Modiano all'ingresso del Liceo scientifico Augusto Righi (fotografie di Luca Liverani)
«Avevo otto anni quando il maestro mi chiamò alla cattedra. Pensavo volesse interrogarmi, ero preparato, mi piaceva la scuola. E invece, amareggiato, mi disse: "Sami Modiano, sei espulso della scuola". Mi cadde il cielo in testa. "Scusi, perché, qual è il motivo?". Il maestro mi asciugò le lacrime e mi disse: "No, tu non hai fatto nulla di male, vai a casa e te lo spiegherà papà". Sono passati 80 anni, ragazzi, ma quel giorno me lo ricordo come fosse ieri». L'ampio ingresso della sede di via Boncompagni del Liceo Augusto Righi oggi è affollato dai ragazzi del primo e secondo anno, che ascoltano in un silenzio assoluto la testimonianza, drammatica e preziosa, di uno degli ultimi sopravvissuti ad Auschwitz. Un'incontro, proposto dai ragazzi del Collettivo studentesco e organizzato con la scuola, che ha coinvolto anche lo storico Umberto Gentiloni, docente di Storia contemporanea all'Università La Sapienza di Roma.
Con l'espulsione dalla scuola nel 1938, anno in cui entrano in vigore le leggi razziali, comincia dunque per Sami Modiano, ebreo della comunità di Rodi, l'isola del Dodecanneso conquistata nel 1912 dall'Italia, la lenta discesa nell'infermo delle persecuzioni razziali, che culminerà con la deportazione nel lager costruito dai nazisti in Polonia dove persero la vita un milione e mezzo di ebrei.
Sami, che a 12 anni aveva perso la mamma malata di cuore, vedrà morire ad Auschwitz-Birkenau la sorella Lucia, più grande di lui di tre anni, e papà Giacobbe. «Lucia era bellissima e dopo la morte di mia madre Diana era diventata lei mia mamma. Così pure papà, che aveva raddoppiato l'affetto e la tenerezza. Un uomo di cultura che suonava il violino e amava la Tosca e la Traviata». Ad Auschwitz-Birkenau Sami, alto e robusto per i suoi 14 anni, verrà risparmiato dalle camere a gas perché giudicato adatto al lavoro da schiavi nel campo di sterminio. Sopravviverà fino all'arrivo dei soldati russi dell'Armata Rossa, la mattina del 27 gennaio 1945. Per decenni Sami rimuove quella tragedia, non ne parla, non la racconta. Ma lo tormenta il rimorso di non aver meritato la vita che è invece stata tolta ai suoi amatissimi familiari. Finché, una quindicina di anni fa, coi primi "viaggi della memoria", capisce perché lui ce l'ha fatta. E lo ripete sempre: «È come se chi è scomparso mi dicesse: "Sami, sei sopravvissuto a quell'inferno per raccontare la nostra storia"».
Ed è quello che, a 88 anni, Sami continua a fare, come oggi qui in un liceo romano, per perpetuare la memoria e contrastare i germi dell'intolleranza e del razzismo. Che in Italia cominciò con l'espulsione di tutti gli ebrei dalla vita pubblica. Anche di un bambino dalla scuola. «Espulso perché ebreo. Non lo capii a 8 anni, non lo capisco a 88. È stato così doloroso che ancora me lo porto oggi. Ma sono diverso? Ragazzi, ho sei dita? Ho due nasi? Ditemelo». E timidamente i liceali sussurrano i loro increduli «no».
La situazione per gli ebrei di Rodi precipita dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, quando l'isola italiana rimane senza ordini e i nazisti occupano l'isola perché ne intuiscono il valore strategico. «La comunità ebraica, duemila persone, viveva già con grande difficoltà la persecuzione e la guerra. Ma l'occupazione tedesca fu la cosa peggiore che ci potesse succedere. E infatti la decisione finale arriva il 18 luglio 1944 - ricorda il sopravvissuto - quando i tedeschi con l'inganno ci rinchiudono in una ex caserma italiana. "È un semplice controllo dei documenti, portatevi un fagotto con un po' di vestiti e di cibo. E tutti gli oggetti di valore. Sarà un viaggio per portarvi a lavorare". Mai avremmo potuto immaginare i campi di sterminio».