Roma. Giornalisti e ong: Juve-Milan a Gedda? Un calcio ai diritti umani
Sit in questa mattina a Roma davanti all'ambasciata dell'Arabia Saudita. Nel giorno della finale di Supercoppa italiana tra Milan e Juventus, giornalisti e associazioni per i diritti umani hanno manifestato per protestare contro la decisione di far giocare la partita in un Paese che non solo viola i diritti delle donne, obbligando le spettatrici non accompagnate in settori riservati, ma compie da anni violazioni ancora più gravi: oppositori in carcere, esecuzioni capitali in pubblico per decapitazione, frustate. E una guerra, che il governo saudita conduce a capo di una coalizione, contro lo Yemen, che sta provocando stragi di civili uccisi dalle bombe, dalla fame, dal colera in uno dei paesi più poveri al mondo. Senza dimenticare il barbaro omicidio del giornalista "scomodo" Jamal Khashoggy. Tutto passa in secondo piano - hanno denunciato i promotori del presidio - «di fronte al contratto da 7 milioni di euro versati dal governo saudita alla Lega calcio».
Il presidente Fnsi Giuseppe Giulietti ha condannato la scelta definendola «un segnale sbagliato dato dal mondo del calcio. Tra non giocare la partita e giocarla a Gedda c'era un mare di opzioni alternative». Riccardo Noury, portavoce di Amnesty International Italia ha ricordato le sistematiche violazioni perpetrate nel paese saudita. Citando i casi di Ali Al-Nimr, condannato a 17 anni per avere manifestato contro il governo. Raif Badawi, blogger condannato a 10 anni e 1000 frustate. O ancora Aziza Al-Yousef e Loujain Al-Hathloul, perseguite per avere difeso i diritti delle donne: «Come la patente alle donne, introdotta di recente, di cui ora si fa bello il governo saudita». Maurizio Di Schino dell'Associazione stampa romana ha ricordato che in Arabia saudita «si rischia il carcere per un crocifisso al collo o per un Vangelo in valigia». Tra gli interventi anche quelli di Vittorio Di Trapani, segretario dell'Usigrai, di Guido D'Ubaldo, segretario dell'Odg, di Raffaele Lorusso, segretario Fnsi e di Elisa Marincola, portavoce di Articolo 21.
Angelo Cremone di Sardegna pulita, ha denunciato «la carneficina di civili yemeniti perpetrata anche con le bombe prodotte in Sardegna dalla Rwm ed esportate in Arabia Saudita in violazione della legge 185 del '90 che vieta la vendita di armi a paesi in guerra. Il governo italiano, scandalizzato per i settori riservate alle donne allo stadio - ha detto - si ricordi che ci sono altre donne che vengono bombardate. Serve una riconversione delle coscienze e dell'industria bellica». Carlo Migliosi, consigliere comunale di Assisi, ha ricordato la mozione "Stop bombe per la guerra in Yemen" approvata all'unanimità dal consiglio comunale. Un'iniziativa che sta facendo proseliti, a partire dal comune di Cagliari. Un argomento che - ha sottolineato Carlo Cefaloni, giornalista di Città Nuova - sarà il tema dell'incontro del 28 gennaio alla Sala del Carroccio in Campidoglio. Un'iniziativa cui hanno già aderito il Movimento dei Focolari Italia, Un Ponte per…, Arci, Pro Civitate Christiana Assisi, Libera, Gruppo Abele, Finanza Etica, Archivio Disarmo, Movimento Nonviolento Roma, Rete della Pace, Pax Christi.