Emergenza Capitale. A Roma più di mille bare in attesa. E degrado cimiteriale
Riposare in pace a Roma è un problema o almeno, dopo morti, prima di farlo può durare un bel pezzo, anche tre mesi. Sono più di mille le bare che nella Capitale stanno aspettando di essere cremate o seppellite e l’emergenza non è più un segreto. E non solo, c’è anche un certo degrado della situazione cimiteriale che viene denunciato dai parenti. Prendiamo il cimitero “Flaminio” (o come anche lo chiamano, “Prima Porta”), Roma nord, poco fuori città. D’entrare nel crematorio o nei depositi naturalmente non c’è alcun verso, però si passa accanto ai container refrigerati, noleggiati a dicembre, uno accanto all’altro, fuori la scritta “Fare sempre attenzione, prima di chiudere, controllare che nessuno sia all’interno”. Però s’incontra, dietro le grate, una bara all’aperto sotto pioggia leggera. E succede di vedere cuscini di fiori abbandonati lungo i marciapiedi.
S’incontrano erbacce incolte, tombe dimenticate, Croci cadute, mucchietti di sporcizia che sta lì da tempo, i servizi igienici - dicono molti parenti di chi è sepolto qui - “sono impraticabili” e sulla porta d’uno di questi la scritta è scritto, a pennarello, “Ama fai schifo”. Intendiamoci, questo cimitero è davvero grande, molto. E però in certi suoi settori così non va, è evidente. Sfacciato. Triste.
Il Covid, secondo i sindacati, ha solo accelerato un’emergenza strutturale che sarebbe comunque esplosa: “Nonostante una sempre maggior richiesta di cremazioni, mancano i forni e il personale” e anche i cimiteri, “per quanti preferiscono la tradizionale sepoltura, non hanno più spazio”. Secondo invece l’Ama è stato decisivo e “stiamo continuando a ,muoverci col massimo sforzo”. Tuttavia già lo scorso settembre, con la mortalità da coronavirus ai minimi termini, le bare in attesa appunto d’essere cremate o sepolte erano alcune centinaia. Nel frattempo le richieste di cremazione crescono del venti per cento l’anno: nel 2001 erano state 3.711, nel 2015 14mila, oggi siamo quasi a 16mila.
Il deputato Romano: da due mesi non riesco a seppellire mio figlio
Nella Capitale ha fatto scalpore prima un manifesto che si vede da una decina di giorni, “Scusa mamma se non riesco ancora a farti tumulare”, firmato “Oberdan”. E adesso la durissima denuncia del deputato Pd Andrea Romano, che sui social ha scritto un durissimo post rivolto direttamente alla sindaca Virginia Raggi: “Sono due mesi che mio figlio Dario non è più con la sua mamma, con i suoi fratelli, con me. Due mesi che non riusciamo a seppellirlo: Ama non dà tempi di sepoltura degni di una città civile. Anzi, non dà alcun tempo. La tua vergogna non sarà mai abbastanza grande”.
Poco dopo è arrivata la risposta attraverso una nota del Campidoglio: "Ciò che è accaduto alla famiglia di Andrea Romano e ad altre famiglie è ingiustificabile, sono vicina a tutti loro - ha fatto sapere la Raggi -. Posso solo immaginare lo strazio e il terribile dolore che stanno vivendo. Ho convocato Ama, che mi ha assicurato di stare lavorando ad una soluzione per dare risposte ai cittadini in questo momento di emergenza coronavirus".
Ma i pessimisti predicono che l’emergenza cimiteriale capitolina, seppure ci si muovesse subito, durerebbe altri due anni…