Attualità

Il caso. Famiglia rom ospite in parrocchia, Faenza si divide

martedì 14 ottobre 2014
​Un scelta coraggiosa: ospitare una famiglia di rom nel cortile della parrocchia. Qualche contestazione, compreso un ricorso alla Procura da parte del capogruppo dell'Idv Claudia Berdondini,, tanti mugugni da parte della gente che "ha paura" di furti e malattie, ma anche tanta solidarietà da parte di chi, messi da parte certi stereotipi, ha saputo guardare oltre e dare una mano a quella famiglia, non tanto diversa dalla propria a ben vedere. Da qualche mese, don Luca Ravaglia è succeduto a don Massimo Goni nella parrocchia di San Savino a Faenza. Un giorno ha ricevuto una richiesta di aiuto da parte della associazione Papa Giovanni XXIII per una famiglia rom e non ha avuto un attimo di esitazione. Ha aperto le porte della parrocchia: prima ha fatto parcheggiare un pulmino, poi ha procurato un paio di roulotte usate e le ha fatte parcheggiare in un angolo del cortile adiacente al campo da calcio. Michele, 22 anni, era arrivato l’estate scorsa con la moglie Samira (24enne) e due figli per occuparsi della sua anziana madre cui era stata amputata una gamba. Al di là dell’Appennino aveva lasciato un camper talmente vecchio da dover essere demolito e si è ritrovato in Romagna senza un tetto.
La famiglia vive grazie a una rete di solidarietà: donazioni di privati, aiuti della Caritas e dell’associazione Papa Giovanni XXIII. Tutti i venerdì mangiano insieme alle persone bisognose della parrocchia. Loro ricambiano rendendosi utili in tanti modi. Spazzano la chiesa e il cortile, oppure falciano l’erba del campo da calcio. C’è invece chi segnala che da quando ci sono questi ospiti c’è sporco attorno alla parrocchia e diversi parrocchiani hanno paura, addirittura non manderebbero più i ragazzi a catechismo. Ma per don Luca sono solo invenzioni: con questa presenza in parrocchia sono divenuti palpabili l’affetto, la stima e l’aiuto reciproco. La figlia più grande si è inserita a scuola e va all'asilo molto volentieri. Anche i suoi genitori hanno desiderio di apprendere, per questo ogni mercoledì c’è una professoressa in pensione che per un’ora e oltre s’impegna a insegnare loro l’italiano. Sono di origini bosniache, ma solo la nonna viene di là per davvero; la giovane coppia e i due figli sono nati in Italia e non sono mai espatriati. Ma per lo Stato italiano sono cittadini bosniaci, clandestini, e rischiano continuamente l’espulsione. Non hanno documenti, quindi non possono lavorare, ma senza lavoro non possono nemmeno avere documenti. Un circolo vizioso che non aiuta.